Educazione alla cittadinanza e Service-Learning

Educazione alla cittadinanza e Service-Learning

Educazione alla cittadinanza e Service-Learning

A cura di Italo Fiorin e Irene Culcasi

1. Riferimenti internazionali: il Rapporto UNESCO Reimagining our futures together e l’Agenda 2030

Il Rapporto UNESCO Reimagining our futures together: a new social contract for education – ufficialmente presentato il 10 novembre 2021 in occasione della Conferenza Generale dell’UNESCO – presenta un’attenta analisi delle sfide che l’educazione deve affrontare oggi e nel futuro, configurandosi come documento di rivoluzionaria portata “poiché riconosce il ruolo che l’educazione ha per promuovere il cambiamento” (Tarozzi e Milana, 2022, p.8).

Reimagining our futures together sottolinea la necessità di ripensare l’organizzazione dell’insegnamento e dell’apprendimento, adottando “pedagogie della cooperazione e della solidarietà” insieme a un nuovo paradigma basato sulla cura. Il fine è quello di delineare la forma di un nuovo contratto sociale che sottende una visione di cittadinanza estesa che espande il senso di appartenenza al di là dei confini nazionali e invoca la partecipazione attiva di cittadini e cittadine e della società civile, secondo un’idea educativa di interdipendenza e interconnessione della conoscenza, delle sfere sociali e degli apprendimenti (Tarozzi e Milana, 2022). 

In particolare, tale Rapporto – che ha potuto contare su un ampio coinvolgimento di esperti da tutto il mondo – indica l’educazione come via per intraprendere un cambio di paradigma che passa dalla semplificazione alla complessità, attraverso l’uso di pedagogie basate su approcci interdisciplinari che riflettono l’interconnessione dei problemi del pianeta e che promuovono una solidarietà umana. 

In altre parole, viene messo in evidenza che il classico triangolo pedagogico ‘studenti-insegnanti-conoscenza’ ha bisogno di essere immaginato all’interno del mondo più ampio: “abbiamo bisogno di pedagogie che ci aiutino a imparare nel e con il mondo e a migliorarlo. Tali pedagogie […] dovrebbero incoraggiarci a comprendere l’importanza di ciò che abbiamo in comune e le interdipendenze sistemiche che ci legano gli uni agli altri e al pianeta” (UNESCO, 2021, p. 51).

La riflessione è sui modelli pedagogici che sottendono il superamento di un trattamento separato dei saperi attraverso una cooperazione tra le discipline e un dialogo costante con la realtà, per identificare proposte didattiche che possano promuovere negli studenti lo sviluppo di qualità e attitudini e, insieme, della capacità di affrontare le incertezze nel nostro tempo (Cinque et al., 2021). 

L’aspetto innovativo è l’evoluzione della prospettiva pedagogico-sociale del “nuovo contratto sociale per l’educazione” che apre con forza alla necessità di coinvolgere gli attori sociali nella corresponsabilità educativa: “i diversi attori che hanno responsabilità educative vengono chiamati a raccolta, in modo diretto, perché partecipino al patto sociale […] e portino, in modo attivo e creativo, il loro contributo” (Porcarelli, 2022, p. 56). Si tratta di una prospettiva che affonda le radici nella lezione dell’attivismo e nella pedagogia degli oppressi (Culcasi, 2022), riferimenti essenziali del paradigma teorico del Service-Learning, più avanti approfonditi. 

Il Rapporto UNESCO menziona anche direttamente la proposta del Service-Learning come strumento per avvicinare i giovani ai valori della solidarietà e della cooperazione: “poiché esistono molte soluzioni possibili a un determinato problema, è necessario scegliere approcci pedagogici che coltivino anche i valori e i principi dell’interdipendenza e della solidarietà. Il Service-Learning e l’impegno nella comunità abbattono i muri tra la classe e la comunità, sfidano i presupposti degli studenti e li mettono in contatto con processi, sistemi ed esperienze più ampi […]. È fondamentale che gli studenti si avvicinino al servizio con uno spirito di umiltà, senza paternalismo […]. Tutti gli studenti possono contribuire a un processo dialogico di promozione del benessere all’interno delle loro comunità.  Il Service-Learning ha il potenziale per inserire la solidarietà come principio centrale delle pedagogie di risoluzione dei problemi, piuttosto che favorire le soluzioni più convenienti o di interesse personale”.

Il Service-Learning, così come le altre “pedagogie della cooperazione e della solidarietà” offrono un contributo trasformativo alle sfide a cui l’educazione è chiamata a rispondere. Queste sfide sono:

  1. Ricostruire un tessuto solidale, cooperativo e socialmente giusto, capace di riparare le ferite delle profonde disuguaglianze nelle Nazioni e fra le Nazioni, di risarcire le ingiustizie generate dalla disparità di genere e […] di contrastare le asimmetrie di potere […];
  2. Ridefinire il rapporto con l’ambiente, superando quell’umanesimo antropocentrico che ha giustificato un rapporto irresponsabile con la biosfera, lo sfruttamento incondizionato delle risorse naturali, l’inquinamento sistemico, la miopia scriteriata verso i cambiamenti climatici […]; 
  3. Ripensare l’uso e il ruolo delle tecnologie non soltanto per colmare le diseguaglianze del gap digitale che l’emergenza COVID-19 ha drammaticamente messo in luce, ma anche per proporre nuove forme di cittadinanza digitale necessarie per un utilizzo critico e responsabile degli strumenti multimediali e digitali (Tarozzi e Milana, 2022, p.13).

Come sostiene Porcarelli (2022) si tratta di sfide di cui diventiamo sempre più consapevoli e che sono ben rappresentate da una lunga filiera di documenti ONU che riguardano lo sviluppo sostenibile – sociale, economico e ambientale – culminata nell’Agenda 2030 che l’Italia ha sottoscritto convintamente per raggiungerne gli Obiettivi e con cui è necessario ormai misurarsi in tutti i contesti educativi e formativi. 

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015 ed è corredata da una lista di 17 obiettivi (Sustainable Development Goals, SDGs) e 169 sotto-obiettivi, che si riferiscono alle dimensioni del sistema umano-planetario da raggiungere entro il 2030 per realizzare l’equilibrio globale rappresentato dalla sostenibilità dell’intero sistema. In particolare, nell’Agenda 2030 le tre dimensioni di sviluppo sostenibile – sociale, economico, ambientale – si integrano con l’approccio delle cinque P: Persone, Pianeta, Prosperità, Pace, Partnership:

  • Persone: eliminare fame e povertà in tutte le forme, garantire dignità a tutti gli esseri umani in modo che possano esprimere il proprio potenziale con equità e in un ambiente sano;
  • Pianeta: proteggere il pianeta dal degrado ambientale, gestire responsabilmente le risorse naturali e agire sul cambiamento climatico;
  • Prosperità: garantire un’esistenza soddisfacente per tutti gli esseri umani, promuovendo il progresso economico, sociale e tecnologico in armonia con la natura.
  • Pace: promuovere società pacifiche, giuste e inclusive.
  • Partnership: favorire solide collaborazioni e cooperazioni tra i paesi e le persone, basate su uno spirito di solidarietà globale. 

L’Agenda 2030 richiama in modo esplicito le responsabilità di tutti i settori della società, dai governi alle imprese, dalla società civile ai singoli. Tutti possono contribuire al conseguimento degli obiettivi. Insegnanti e studenti possono avviare percorsi educativi dedicati allo sviluppo sostenibile, ampiamente inteso, nell’ambito delle discipline scolastiche. Come afferma l’UNESCO (2021, p. 52): “gli stessi SDGs offrono un quadro attorno al quale strutturare un apprendimento interdisciplinare basato su problemi e progetti che aiuti gli studenti a sviluppare le capacità per portare avanti l’intera gamma di obiettivi”. Infatti, il nuovo social contract per l’educazione – così come richiamato dall’ultimo Rapporto UNESCO – non è diverso dall’appello per una global partnership che troviamo nell’Agenda 2030. Il passaggio è da una ‘paideia della giustizia e sostenibilità’ che delinea la vision dell’Agenda ad una ‘paideia della solidarietà’ per renderne operativa la logica trasformativa. Ne consegue oggi una responsabilità ancora maggiore nel promuovere pedagogie che realmente pongano gli studenti di fronte alla possibilità di intercettare i problemi del nostro tempo e proporre soluzioni tramite le competenze acquisite nel percorso formativo.

2. Educazione alla cittadinanza e Service-Learning

Il Service-Learning è un approccio pedagogico finalizzato a sviluppare competenze di cittadinanza attiva. Si tratta di una proposta che solo recentemente si sta conoscendo in Italia, dove incontra non solo un forte interesse, ma anche una rapida diffusione, in tutti gli ordini e gradi di scuola. Tale interesse e diffusione sono oggi accelerati dal fatto che la scuola italiana è sollecitata, dalla legge 92/19, a introdurre l’insegnamento dell’educazione civica. 

Ci sono molte ragioni che portano a questo incontro tra la proposta del Service-Learning e l’educazione civica, un incontro che può rivelarsi particolarmente fecondo.

2.1 Educazione Civica

2.1.1 Antecedenti dell’educazione civica in Italia

La legge 92/19, votata all’unanimità dal Parlamento, è il risultato di un lavoro di sintesi di numerose proposte di legge in materia. Tutto questo segnala la condivisione di un’urgenza, ed è positivo che si sia raggiunto un così largo consenso parlamentare, tuttavia l’educazione civica nella scuola non rappresenta affatto una novità. Dal dopoguerra ad oggi, nei programmi ministeriali e in numerosi documenti ufficiali è sempre stata presenta un’attenzione specifica all’educazione civica. Potremmo convenire che nelle pratiche didattiche spesso non vi sia stata adeguata corrispondenza, ma le sollecitazioni a fare dell’educazione civica un punto di riferimento non sono certo mancate. Per questa ragione, quanto la legge oggi propone può essere considerato il punto di arrivo di un percorso che, nel tempo, ha contribuito a mettere in luce aspetti che, via via, hanno conferito un significato sempre più ricco alle finalità da attribuire a questo particolare insegnamento. 

Nei Programmi per la scuola elementare del 1945 troviamo scritto: “La scuola elementare, pertanto, non dovrà limitarsi a combattere solo l’analfabetismo strumentale, mentre assai più pernicioso è l’analfabetismo spirituale che si manifesta come immaturità civile, impreparazione alla vita politica, empirismo nel campo del lavoro, insensibilità verso i problemi sociali in genere. Essa ha il compito di combattere anche questa grave forma d’ignoranza, educando nel fanciullo, l’uomo e il cittadino. Nella nuova scuola elementare italiana dovranno dominare un vivo sentimento di fraternità umana che superi l’angusto limite dei nazionalismi, una serena volontà di lavorare e di servire il Paese con onestà di propositi. A ciò tendono i nuovi programmi con una chiara visione dei problemi etici, che trova sviluppo in ciascuna delle materie di studio.”

Siamo all’indomani della fine della guerra, della caduta del fascismo, all’alba della nascita della Repubblica italiana. Colpiscono le parole così forti, dense di significato, che i primi programmi dell’Italia non più fascista rivolgono ai docenti della scuola ‘elementare’, la prima scuola, la scuola di base, alla quale si chiede molto di più dell’insegnare a leggere, scrivere e far di conto. Nella lunga citazione non viene mai nominata l’educazione civica, ma tutto quanto si dice a proposito del compito dei programmi vi fa riferimento e contribuisce a caratterizzarla in maniera ricca e di una sorprendente attualità. È evidente il peso di un recente drammatico passato che aveva visto la scuola funzionale agli ideali di un regime liberticida e disumanizzante, che aveva trasformato i programmi scolastici, i libri di testo e le manifestazioni in funzione dell’esaltazione del fascismo, esasperando l’appartenenza nazionale in un ottuso nazionalismo, coltivando l’odio razziale ed esaltando la guerra. La rinascita – sembrano dire i Programmi del 1945 – inizia da subito, dai primi anni, dalla prima scuola, e deve nutrirsi di valori etici e spirituali, di fraternità, di responsabilità civica.

2.1.2 Dai programmi per l’insegnamento dell’educazione civica alla Legge 92/19

Un arricchimento del significato dell’educazione civica viene apportato dai Programmi per l’insegnamento dell’educazione civica negli istituti e scuole di istruzione secondaria e artistica (1958). Interrogandosi sui compiti della scuola, i Programmi affermano: “La Scuola giustamente rivendica il diritto di preparare alla vita, ma è da chiedersi se, astenendosi dal promuovere la consapevolezza critica della strutturazione civica, non prepari piuttosto solo a una carriera” (DPR del 13 giugno 1958, n. 585, Premessa).

I programmi mettono in guardia dal ritenere che sia sufficiente, per la scuola, preparare i giovani ad inserirsi nel mondo lavorativo e realizzarsi nella carriera che sognano per sé stessi. La scuola deve avere un’ambizione più alta, quella di preparare non solo professionisti capaci, ma cittadini responsabili. Per questa ragione l’insegnamento dell’educazione civica viene visto come indispensabile e tutti gli insegnamenti sono chiamati a collaborare.

“Se ben si osservi l’espressione ‘educazione civica’ con il primo termine ‘educazione’ si immedesima con il fine della scuola e col secondo ‘civica’ si proietta verso la vita sociale, giuridica, politica, verso cioè i principi che reggono la collettività e le forme nelle quali essa si concreta” (DPR del 13 giugno 1958, n. 585, Premessa). Attraverso il contributo che l’educazione civica può offrire, la scuola si propone di contrastare una visione dell’istruzione meramente funzionale, finalizzata a rispondere a pur legittimi bisogni individuali, per aprire la mente degli studenti verso l’ideale del bene comune, da perseguire attraverso l’esercizio della cittadinanza consapevole e responsabile.

Un ulteriore arricchimento del significato da attribuire all’educazione civica viene fornito dalle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione (MIUR, 2012). 

Due sono gli apporti principali forniti dalle Indicazioni a proposito di cittadinanza.  

  • Il primo riguarda l’estensione del perimetro di ciò che intendiamo per educazione alla cittadinanza, intendendola non solo riferita all’ambito nazionale, ma anche europeo e mondiale: “la nostra scuola, inoltre, deve formare cittadini italiani che siano nello stesso tempo cittadini dell’Europa e del mondo” (MIUR, 2012, pp. 10-11). Essere pienamente cittadini richiede di saper esercitare una pluralità di appartenenze, non in conflitto tra loro, ma intelligentemente integrate e che si alimentano tra loro. Questa visione lascia definitivamente alle spalle ogni tentazione localistica o nazionalistica di intendere la cittadinanza. 
  • Il secondo apporto che le Indicazioni forniscono all’educazione civica consiste nell’intenderla come educazione all’esercizio della cittadinanza attiva. Questo significa andare oltre il pur importante valore della pacifica convivenza, facendolo evolvere nella direzione della assunzione di responsabilità e disponibilità ad agire: “Non basta convivere nella società, ma questa stessa società bisogna crearla continuamente insieme. Il sistema educativo deve formare cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione di collettività più ampie e composite, siano esse quella nazionale, quella europea, quella mondiale”.

Se essere civicamente educati significa saper prendersi cura del bene comune, la nuova dimensione della cittadinanza è molto più articolata e complessa di come era intesa in passato. Nella realtà globalizzata di oggi è richiesta un’educazione alla cittadinanza globale. Le grandi sfide di fronte alle quali siamo posti sono sfide globali: “la globalizzazione richiede un nuovo slancio per educare alla cittadinanza globale. Questo implica aiutare gli studenti a comprendere e apprezzare i diritti umani e le sfide globali comuni in modo da diventare cittadini impegnati” (Reimers et al., 2018, p. 14). 

Nella legge 92/2019 si raccolgono in un punto di sintesi i diversi significati che via via sono stati dati all’educazione civica. Viviamo in una realtà nella quale locale e globale hanno assunto contorni nuovi, la nostra è ormai una società multiculturale, l’interdipendenza è un dato di fatto. La cura dell’ambiente, la sicurezza dalle malattie, la prosperità economica, le conoscenze tecnologiche e il loro impatto; tutto questo disegna un paesaggio culturale profondamente diverso dal passato, nel quale emerge con una consapevolezza più acuta la nostra prima e primordiale cittadinanza, quella umana. Apparteniamo al genere umano, condividiamo la comune casa che è questo nostro pianeta, la nostra sorte ci vede strettamente legati gli uni agli altri. Siamo, cioè, cittadini del mondo, o meglio, siamo chiamati a diventarlo e questo fa sì che l’educazione civica non possa che essere educazione alla cittadinanza globale.  

L’idea di una considerazione della cittadinanza così allargata incontra ostacoli nella cultura del populismo e dalle spinte nazionalistiche che purtroppo si sono largamente diffuse e minacciano la vita democratica. “Se il nazionalismo è la nuova forza organizzativa che sfida il globalismo, la nozione di appartenenza o non appartenenza a un gruppo sarà definita dalla cittadinanza, non dall’essere parte dell’umanità” (Reimers et al., 2018, p. 21). La cittadinanza, nella visione populista-nazionalistica, è restrittiva, difensiva, contrappositiva. Ma la cittadinanza affermata nella nostra Costituzione è democratica, e la nozione di cittadinanza globale ne rappresenta l’orizzonte naturale. E dentro questa visione si colloca l’attenzione ai diritti umani, la preoccupazione per gli obiettivi dell’Agenda 2030, la responsabilità verso il pianeta, nostra casa comune. 

Promuovere attraverso l’educazione scolastica lo sviluppo delle competenze richieste dalla cittadinanza globale appare il concreto antidoto al populismo e al nazionalismo, e il modo migliore per la costruzione di una comunità coesa e solidale. 

2.2 La proposta del Service-Learning

La proposta del Service-Learning ha molti punti in comune con le finalità e sollecitazioni formative della legge 92/2019 sull’educazione civica, specie per quanto riguarda la promozione e lo sviluppo delle competenze di cittadinanza attiva. Rispetto a queste importanti finalità il Service-Learning rappresenta una risposta efficace. Ispirandoci ad Hannah Arendt, che afferma come altro sia conoscere, altro comprendere, altro ancora prendere posizione e decidere che cosa è bene fare, potremmo dire il Service-Learning propone agli studenti di vivere un’esperienza nella quale l’apprendimento non solo sia conoscenza e comprensione critica della realtà, ma qualcosa di più, una risorsa per l’azione, per l’intervento costruttivo, volto al miglioramento del proprio contesto di vita. 

Nella società della conoscenza nella quale oggi viviamo, dove le informazioni sovrabbondano e sono facilmente accessibili, la scuola come luogo di diffusione delle informazioni ha perso importanza, relegata in una posizione marginale. Gli ambienti che erogano conoscenza sono molti, diffusi, e utilizzano linguaggi più efficaci e seducenti di quello formale e compassato generalmente utilizzato dalla scuola. La scuola può recuperare la centralità perduta non cercando di competere sul piano della trasmissione delle informazioni, ma insegnando a ragionare criticamente, a selezionare le informazioni che servono, a vagliarne l’attendibilità, favorendo il passaggio dal conoscere al comprendere. La scuola si riqualifica per la sua capacità di insegnare a pensare, formando persone che, per dirla con Edgar Morin, hanno ‘la testa ben fatta’. Ma se noi chiediamo alla scuola di formare cittadini consapevoli, bisogna fare un passo in più. Questo passo consiste nel chiedere agli studenti di mettere a disposizione degli altri la loro competenza, nell’educarli all’assunzione di responsabilità sociali e civiche, una sequenza che si può riassumere in tre parole chiave: conoscere, comprendere, agire. Già Aristotele diceva che una cosa è sapere che cos’è il bene, altra cosa è essere buoni. Il Service-Learning porta a fare il passo in più, dal comprendere che cosa sia bene fare, al farlo. 

2.2.1 Le radici pedagogiche del Service-Learning

I riferimenti pedagogici del Service-Learning sono molti, hanno radici profonde nel tempo. Qui basti ricordare tre nomi che possono considerarsi grandi fonti di ispirazione.

  • Il primo è il filosofo e pedagogista americano John Dewey, che ha sostenuto l’idea che la scuola debba essere al servizio della democrazia e che già dai primi anni di apprendimento vadano proposte esperienze concrete di impegno civico. Il suo celebre motto ‘se faccio, capisco’, solitamente interpretato in chiave esclusivamente didattica come invito ad un far scuola che dia molto spazio all’operatività, ha un significato più profondo: la democrazia la si impara ‘facendola’, sperimentandola, cioè mettendone in pratica i principi ispiratori: responsabilità, solidarietà, cooperazione, libertà di espressione, al punto che la scuola che J. Dewey ha in mente adotta come modalità organizzativa l’autogoverno e la responsabilizzazione degli studenti.
  • Il secondo autorevole riferimento è il pedagogista brasiliano Paulo Freire, secondo il quale l’educazione è trasformativa, ha cioè il compito di formare persone capaci di comprendere i problemi sociali e di intervenire per dare un contributo alla loro soluzione. La scuola non deve fornire un’istruzione di tipo ‘bancario’, cumulando conoscenze o insignificanti o funzionali a chi detiene il potere, con il risultato di sfornare ‘l’uomo del consenso’, ma deve essere liberatrice, aiutare i più poveri e marginali a prendere coscienza della loro situazione e fornire loro gli strumenti del cambiamento.
  • Infine, molto più vicino alla tradizione italiana, è la figura di don Lorenzo Milani. La sua esperienza, riflessione e testimonianza, lo pone come il principale riferimento in Italia della proposta del Service-Learning, il cui valore e messaggio chiave è racchiuso nel celebre motto I Care:  “[…] ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande ‘I Care’. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori, ‘Me ne importa, mi sta a cuore’. È il contrario esatto del motto fascista ‘Me ne frego’ (Milani, 1965)”.

Don Milani dice che il motto è intraducibile, perché è fin troppo ricco di significati. Ci richiama il compito dell’educazione, prendersi cura degli altri, del mondo. Sempre per dirla con le parole del Priore di Barbiana, ‘il sapere serve solo per darlo’, è cioè, qualcosa che non appartiene solo al singolo individuo, ma chi sa è anche responsabile degli altri. La conoscenza è un bene pubblico, l’educazione apre alla politica, intesa come preoccupazione – come dice Aristotele – per le buone sorti della città. In don Milani è chiaro il significato della scuola, e se la Lettera ad una professoressa (1965) esprime una denuncia radicale, non è la scuola che viene messa in discussione, ma il fatto che la scuola, nel suo significato più profondo, viene tradita. La scuola serve se è servizio, ed è servizio a cominciare dai più poveri, dagli emarginati, dai senza parole, da quelli che scarta ed abbandona.

Potremmo dire che il primo compito della scuola è di prendersi cura dell’educazione, fare dell’educazione lo sfondo integratore della didattica, informare il processo di insegnamento-apprendimento. Nella presentazione del testo delle Indicazioni nazionali (2012) troviamo scritto: “Si delinea un core curriculum che deve saper riscoprire le cose essenziali, quelle che contano nella formazione dei ragazzi di oggi, che sono già proiettati in un mondo per larga parte ancora sconosciuto, da affrontare con una dotazione di competenze appropriata” (MIUR, 2012, p. 3).

Per aiutare i giovani ad affrontare un futuro ignoto serve dotarli di un’attrezzatura adeguata. Quali sono le “cose essenziali, quelle che contano”? Conosciamo la risposta che oggi viene data, e che si sintetizza nell’espressione ‘insegnare ad apprendere’, e che ha nel concetto di competenza il suo punto di riferimento. Insegnare ad apprendere è molto di più che insegnare, cioè trasferire conoscenze. Cambia la prospettiva didattica, che si focalizza sui problemi da affrontare e sulle strategie necessarie per fronteggiarli, cosa molto diverse che centrarsi sui contenuti e sulle modalità di memorizzarli. La didattica orientata a sviluppare competenze chiede al docente di riposizionarsi nell’aula, abbandonando pratiche didattiche di tipo prevalentemente espositivo e adottando modalità di empowerment, così che protagonisti dei processi di apprendimento siano gli stessi studenti.  Del resto, non si possono promuovere competenze se non ponendo gli studenti di fronte a problemi reali. Da qui l’importanza di superare quello che viene chiamato sapere accademico, un sapere fine a sé stesso, valido all’interno di un’aula scolastica, ma inutilizzabile nella vita reale. E, a proposito di mondo sconosciuto, e di apprendimento come sviluppo di competenze necessarie ad affrontare problemi reali, nelle Indicazioni nazionali (2012), c’è una frase che suona così: “compito della scuola non è solo quello di insegnare ad apprendere, ma insegnare a stare al mondo” (MIUR, 2012, p. 3).

Ma come intendere questo “saper stare al mondo”? C’è una maniera molto individualistica di intendere questa consegna.  Si possono motivare gli studenti facendo leva sulla loro ambizione a primeggiare, stimolando un’elevata competitività, incoraggiando il saper sbrigarsela da soli, il saper riuscire a qualsiasi costo. C’è una cultura diffusa particolarmente affezionata a questa visione, che incoraggia i docenti ad attivare questa leva motivazionale. Mai come in questi nostri giorni avremmo motivo di essere soddisfatti, perché, nel corso di lunghi anni di lotte civili, abbiamo ottenuto il riconoscimento di tanti importanti diritti individuali. Però, mentre abbiamo raggiunto questi risultati, assistiamo ad un sempre più rapido e diffuso affievolimento della nostra capacità di stare con gli altri, della preoccupazione per gli altri, dell’accoglienza, della solidarietà.  

È come se fossimo preoccupati solo del nostro io a scapito del noi, come se la dimensione del noi non ci appartenesse come parte costitutiva della nostra stessa identità. Scrive A. Marina (2013, p. 6), introducendo il bel libro di Roser Battle sul Service-Learning: “Non siamo monadi isolate, come palle di bigliardo che si incontrano e si scontrano sul tappeto verde della vita. Siamo esseri sociali, anche se conflittuali. Egoisti, che abbiamo bisogno dell’altruismo degli altri. Questa situazione contraddittoria fa sì che la convivenza sia difficile, e che apprendere a convivere appaia, una volta di più, il principale compito educativo.”

C’è anche una maniera diversa di motivare gli studenti, che non fa appello all’individualismo competitivo, e non ricorre alla motivazione estrinseca della ricompensa prestazionale, ma si rivolge a dimensioni più profonde della persona umana. Il Rapporto dell’UNESCO Nell’educazione un tesoro (Delors, 1996) fa dell’insegnare a convivere uno dei quattro pilastri fondamentali del sistema formativo. Il filosofo A. Marina lo considera, addirittura, il compito principale. Noi siamo esseri sociali, ma siamo anche esseri conflittuali, non siamo naturalmente buoni, dobbiamo imparare a vivere pacificamente insieme. C’è bisogno di educazione per educare l’intelligenza sociale, la scuola deve coltivare questa particolare arte dell’accompagnamento al prendersi cura degli altri, al preoccuparsi e impegnarsi per il bene comune, ad essere, in definitiva, cittadini attivi e responsabili.

Assumere come finalità dell’educazione l’insegnare a vivere e a convivere, ad essere cittadini solidali e responsabili, introduce un altro modo di motivare gli studenti, che, senza trascurare il comprensibile interesse individuale a migliorarsi, a realizzarsi, a raggiungere gli obiettivi professionali, allarga l’orizzonte di ciò che viene avvertito come importante, e che quindi diventa fonte di motivazione anche più profonda. Diversamente da quanto si potrebbe superficialmente credere, non c’è contraddizione tra il perseguire l’eccellenza e coltivare l’altruismo. L’esperienza della scuola di Barbiana è illuminante anche a questo proposito. Barbiana apre le sue porte ai ragazzi che la scuola ha scartato, che sono poveri di tutto, che vivono in condizioni di grave deprivazione sociale e culturale. Sarebbe sbagliato pensarla però solo come una scuola inclusiva, peggio ancora ‘buonista’. La scuola di don Milani è molto esigente, chiede tutto il tempo l’attenzione, l’impegno, al punto che non vi è nemmeno prevista la ricreazione. Perché l’obiettivo è dare anche ai più poveri ed emarginati gli strumenti culturali necessari per riuscire nella vita, per saper stare al mondo. È una scuola esigente, che non si accontenta, che pretende il massimo dell’impegno. Dimostra con i fatti che accoglienza e competenza, inclusione e qualità possono armonizzarsi in una proposta pedagogica unitaria e forte.

2.2.2 Gli elementi chiave del Service-Learning

I progetti di Service-Learning, nella loro articolazione, si caratterizzano per presentare connessioni esplicite tra le attività solidali verso la comunità e gli apprendimenti che gli studenti stanno sviluppando nel loro percorso di studi: le discipline, insieme, diventano gli strumenti per riflettere criticamente sulla realtà e intervenire su di essa. In altre parole, il Service-Learning unendo l’apprendimento al servizio solidale permette di generare una pratica autenticamente educativa in quanto consente allo studente non solo di prendere consapevolezza dei problemi presenti nella società con lo scopo di offrire un contributo alla loro soluzione ma anche di operare a livello concreto un raccordo tra teoria e pratica all’interno di un percorso di cittadinanza attiva che fornisce elementi di orientamento e di senso. Prendendo in prestito le parole da Morin: nell’applicazione del Service-Learning: “ogni azione è una scommessa, in particolare in un ambiente ricco di interazioni e retroazioni, e l’azione richiede una strategia suscettibile di modificarsi in funzione dei casi incontrati e delle informazioni acquisite nel corso dell’azione” (Morin, 2015, p. 32). È quindi un percorso a ‘ostacoli’ in cui è fondamentale riflettere sulla strategia di intervento in funzione di un bene comune identificato, a cui si è chiamati come gruppo, come comunità, agendo attraverso il confronto con l’incertezza. In questo senso, la proposta pedagogica esprime l’idea di un patto sociale che vede il coinvolgimento di tutti i soggetti possibili di una comunità, attraverso modalità concrete di cittadinanza, considerando l’educazione un bene comune. 

Nel complesso processo che implica la progettazione del Service-Learning sono quattro gli elementi chiave da considerare: servizio solidale, protagonismo degli studenti, articolazione curricolare e riflessione critica.

Servizio solidale

Dal punto di vista del servizio, il Service-Learning si caratterizza come aderente ai bisogni reali di una comunità: il servizio è qualcosa di concreto, utile e reale, implica rispondere a un bisogno autentico e per questo è un’esperienza esigente perché implica responsabilità e impegno (Rossa, 2019, p. 125). Le attività solidali pianificate all’interno del percorso di SL dovrebbero infatti essere orientate verso la risoluzione di problemi presenti nella propria realtà e sono progettate non per, ma con i membri della comunità nella quale si interviene. La comunità è perciò considerata non in un rapporto di subordinazione ma come co-protagonista del progetto. In questo senso non ci sono donatori e beneficiari di un servizio: tutti sono attori e protagonisti che danno e ricevono (l’ottica è quella pro-sociale e non semplicemente altruista), (Tapia, 2006). Interessante è il particolare legame che si viene a creare tra scuola e società. In questa proposta pedagogica l’ambiente di apprendimento non è solo la scuola ma l’intera comunità (Rota, 2012); e il tipo di legame tra comunità scolastica e comunità sociale è quello della reciprocità in cui se, da un lato, la scuola è una risorsa per il territorio e un’occasione di sviluppo – dal momento che interviene direttamente con la propria azione nella formazione dei cittadini – dall’altro, le realtà locali presenti sul territorio possono fornirle un sostegno e uno stimolo utilissimi, considerandola un proprio patrimonio da preservare e sviluppare ulteriormente (EIS-LUMSA, 2014). 

Protagonismo degli studenti 

Il protagonismo degli studenti implica la ricerca di un coinvolgimento molto forte degli stessi, che miri a farli diventare autonomi nella gestione dei loro processi di apprendimento, capaci di riflettere sulle proprie azioni e di dare senso a quanto la scuola gli propone (Fiorin, 2016). Questo permette agli studenti di ‘costruirsi’, scoprendo il proprio potenziale, ma anche di comprendere che si è parte di una realtà sociale che ci forma e che noi stessi andiamo formando con il nostro agire. In termini pratici significa cedere parte del potere decisionale agli studenti in ogni fase del progetto: dalla riflessione sulle tematiche sociali, rilevazione dei bisogni presenti nella comunità, possibilità di azione e ricerca di soluzioni supportate dalla teoria, pianificazione, realizzazione delle attività applicando conoscenze e competenze hard e soft, comunicazione del progetto. In particolare, secondo Selmo (2018), nel SL l’apprendimento si articola su due dimensioni: una interna che riguarda sé stessi, i propri valori e le proprie motivazioni e una esterna riguardante il mondo e le cause principali dei suoi problemi su cui viene indirizzato il lavoro di servizio.

Articolazione curricolare

Un altro elemento chiave del Service-Learning è quello di non limitarsi a connettere la conoscenza teorica con l’attività pratica ma di integrarle. Infatti, l’azione di servizio solidale non è estranea a quanto gli studenti apprendono nel loro percorso scolastico ma è pienamente integrata nel curricolo. 

Le possibilità di creare reti di contenuti formali intorno all’esperienza solidale sono pressoché infinite e possono comprendere il vasto spettro delle arti e delle scienze, in accordo con le peculiarità di ogni istituzione e del contesto all’interno del quale l’istituzione è inserita (Fiorin, 2016). In questo senso, l’interdisciplinarità è un elemento di interesse nella realizzazione dei progetti (Posada, 2004) per generare valore sia all’interno che all’esterno dell’aula, ampliando la portata e l’impatto dei benefici generati dai percorsi educativi, sviluppati da docenti e studenti (Álvarez & Villareal, 2019).

Riflessione critica 

Infine, la proposta pedagogica si caratterizza per un continuo processo di riflessione critica sull’esperienza quale fattore che trasforma un’esperienza interessante e impegnata in qualcosa che influisce decisamente sull’apprendimento e sullo sviluppo degli studenti (Furco, 2009). La riflessione nel SL passa attraverso due forme di pensiero: concreto e astratto; il primo è da intendersi come mezzo per un fine, ad esempio per risolvere problemi concreti, e quindi ha un tratto pratico. Per contro, il secondo è da intendersi come forma di coscienza che rende gli individui capaci di ampliare il proprio pensiero (Deeley, 2016). Il pensiero concreto e astratto non si escludono a vicenda e sono entrambi necessari agli studenti per dotare di significato il mondo (Deeley, 2016). In questo senso la riflessione è sia un processo che un prodotto: il processo è l’atto di dotare di significato e il prodotto è il senso stesso attribuito al significato. Nel Service-Learning la riflessione dovrebbe avvenire in almeno tre momenti del percorso (Furco, 2009):

  • la pre-riflessione si centra sulle aspettative in merito all’esperienza, sul contesto e sui bisogni sociali che gli studenti inquadrano come importanti o urgenti; 
  • la riflessione in-azione si concentra sulla valutazione di quanto avviene durante l’esperienza: cosa si sta imparando, cosa funziona e cosa no, cosa deve essere migliorato, quali connessioni emergono tra quanto si sta affrontato in aula e quanto si sta vivendo nella comunità; 
  • la post-riflessione si concentra sull’esplorare l’intero percorso di servizio e di apprendimento: conoscenze apprese, sfide affrontate, competenze sviluppate, cambiamenti nella realtà grazie all’azione di servizio, cambiamenti nei partecipanti, riconsiderazione delle soluzioni intraprese secondo diverse prospettive etc. 

2.3 Itinerario di progettazione del Service-Learning

La progettazione del Service-Learning si articola secondo un itinerario a cinque tappe sequenziali – motivazione, diagnosi, ideazione e pianificazione, esecuzione, chiusura. Il modello di progettazione è quello proposto dal Centro Latinoamericano de Aprendizaje y Servicio Solidario – CLAYSS, (Tapia, 2006) che include anche tre processi trasversali – riflessione, documentazione e comunicazione, valutazione – i quali non si articolano secondo un ordine cronologico ma attraversano tutte le tappe di un progetto (Tapia, 2018). La parola ‘itinerario’ sta ad indicare non un rigido schema di applicazione ma una proposta orientativa pensata per essere ricreata e riformulata, proprio perché la traiettoria di un progetto è unica per ogni contesto e istituzione educativa e prenderà il ritmo e la forma di coloro che la percorrono (Fiorin, 2016). 

Figura 1: itinerario di progettazione

Tappa A: motivazione

La prima fase – motivazione – ha due obiettivi principali: uno legato al motivo che genera o dà origine al progetto, l’altro legato alla conoscenza e all’interessamento verso il SL. La fase della motivazione è strategica per la partecipazione dei diversi attori lungo tutto l’arco del progetto, in modo che si sentano autenticamente chiamati a partecipare, attraverso una comprensione profonda del significato educativo della proposta pedagogica. Essendo gli studenti il centro della proposta, è fondamentale lavorare sulle loro motivazioni iniziali per renderli consapevoli che il SL non è percorso educativo calato dall’alto, ma un’esperienza da costruire insieme e in cui avranno un ruolo attivo, partendo dagli interessi e dalle capacità personali così come dai bisogni sociali da loro sentiti come rilevanti e urgenti. Infatti, questa fase pone gli alunni di fronte alla sfida del protagonismo, spronandoli ad acquisire un atteggiamento proattivo per tutta la durata del percorso. In questa fase si riflette anche sulla prosocialità, sul perché una persona dovrebbe fare qualcosa per gli altri e sul significato che questo assume per gli studenti, anche in termini di apprendimento. L’importante, secondo Tapia (2006), e che prima di iniziare il percorso di SL sorga spontaneamente negli ‘attori’ la motivazione a ‘fare qualcosa’. Infatti, la spinta iniziale può venire da diversi fronti: da un docente che si interessa alla proposta pedagogica, dalla comunità che richiede una collaborazione per un progetto particolare, da una necessità che emerge dal contesto e che sfida la stessa comunità educativa ad agire o dall’iniziativa di spazi di partecipazione studentesca (Tapia et al., 2015). 

Tappa B: diagnosi/approfondimento

Partendo dalla motivazione iniziale al ‘fare qualcosa’, la seconda fase – diagnosi – cerca di delimitare un problema specifico da affrontare e di approfondire tutte le sfaccettature che la complessità del problema pone (Tapia et al., 2015). Gli studenti vengono spronati a “tirar fuori” questioni sociali che avvertono come importanti. È possibile emergano molti temi (problemi/bisogni) e sia difficile metterne a fuoco uno sul quale intervenire; oppure, al contrario, può risultare difficile entrare concretamente nella visione prosociale e operare quel passaggio di orizzonte che va “dall’io al noi”, in altre parole, che sia difficile per gli studenti comprendere cosa sia un bisogno o un problema sociale della comunità (Culcasi & Russo, 2021). L’obiettivo di questa fase è individuare un micro aspetto all’interno del macro tema scelto affinché il progetto possa essere successivamente articolato dagli studenti in obiettivi operativi. Ad esempio, se gli studenti dovessero scegliere di affrontare il problema dell’inquinamento è importante che ne inquadrino un sotto-aspetto su cui lavorare come, ad esempio, l’inciviltà di alcune persone (Figura 1). Secondo Tapia et al. (2015) il successo di un progetto di SL dipende dall’elaborazione di una diagnosi accurata che richiede di sviluppare uno sguardo analitico su una determinata realtà. Alcuni aspetti centrali per sviluppare una buona diagnosi sono: ascoltare le opinioni di tutti i membri coinvolti e individuare istituzioni o realtà del territorio che già svolgono azioni comuni ai temi del progetto. Da un punto di vista didattico questo processo può rappresentare un’opportunità di lavoro interdisciplinare e può generare una forte spinta motivazionale per gli studenti (Tapia et al., 2015). Va inoltre specificato che la diagnosi non si centra solo sulla comprensione di un problema sociale, ma mira anche a identificare le opportunità di apprendimento che un dato scenario sociale consente. 

Figura 2. Albero dei problemi relativo al tema dell’inquinamento. Attraverso l’albero dei problemi, gli studenti sono chiamati a riflettere sulle cause del problema individuato, simbolicamente posizionate nelle radici dell’albero, e sugli effetti del problema, rappresentati dai rami.

Tappa C: ideazione e pianificazione

La terza fase – ideazione e pianificazione – è dedicata all’elaborazione di una proposta di lavoro che incorpora sia obiettivi di servizio sia di apprendimento. È una fase complessa perché sfida docenti e studenti a declinare operativamente, secondo le possibilità e gli interessi, le intenzioni solidali in azioni concrete, da realizzare in collaborazione con la comunità. Durante tale fase è importante che gli studenti siano preparati all’incontro con la realtà: “uscire dall’aula” implica una progettazione flessibile che va ripensata e co-costruita continuamente, secondo le esigenze del contesto sociale e le sfide che questo, necessariamente, impone. Una corretta elaborazione progettuale facilita l’esecuzione del progetto e offre indicatori per comprendere come si è affrontato il problema, oltre a evidenziare quanto gli apprendimenti prodotti siano o meno in linea con le competenze richieste per lo specifico ambito di formazione o disciplinare degli studenti coinvolti (Tapia, 2006). Durante lo sviluppo di questa fase sarà fondamentale bilanciare la definizione degli obiettivi sia secondo la cultura e i bisogni della comunità, sia secondo interessi e scopi di docenti e studenti. In questa cornice operativa, il confronto tra pari può essere utilizzato anche come meccanismo di revisione. A tal proposito, infatti, alcuni studi hanno evidenziato come la revisione tra pari nell’ambito del SL svolga un ruolo significativo per il successo dei progetti stessi (Lazar & Preece, 1999). La scuola EIS dell’Università LUMSA ha elaborato una scheda di progettazione per aiutare gli studenti a sviluppare i progetti di SL, riflettendo sui possibili gap del percorso (Tabella 1: Culcasi et al., 2022).

Domande guida per la progettazioneItem progettuale
1. Cosa si vuole fare? Quali sono gli obiettivi e i risultati desiderati?Obiettivi del progetto
2. Per quale motivo si realizza il progetto? E perché proprio quegli obiettivi? Motivazione del progetto
3. A chi è rivolto il progetto? C’è un gruppo specifico con il quale ci relazioneremo oppure il nostro servizio è rivolto alla comunità ampiamente intesa? Provate a individuare in modo più specifico possibile il target del progetto.  Beneficiari e co-attori del progetto 
4. Quali azioni/attività dobbiamo fare per raggiungere i risultati desiderati?Definire concretamente cosa farete per raggiungere gli obiettivi del progettoDefinizione delle attività di servizio
5. Chi realizzerà le attività? Chi fa cosa? Definire ruoli e responsabilità dei membri del gruppoResponsabili
6. Con chi facciamo il progetto? Chi coinvolgiamo nel progetto? Lavoreremo con qualche docente, organizzazione o associazione del territorio?Partecipanti
7. Quali discipline ci aiutano nel progetto? Discipline 
8. Quali competenze dovremmo sviluppare per portare avanti il progetto? competenze sociali (capacità di lavorare in gruppo, di comunicare, di negoziare, di gestire i conflitti) competenze personali (capacità di leadership, di autovalutarsi, di essere flessibile e adattarsi)competenze metodologiche (capacità di risolvere i problemi, di analizzare informazioni e dati, di formarsi in modo autonomo, di essere creativi e innovare)competenze digitali (capacità di comunicare digitalmente, di creare contenuti, di risolvere problemi digitali, di processare informazioni e dati digitali)Competenze
9. Quali risorse sono necessarie per la realizzazione del progetto? (materiali, numero di persone etc.)Risorse umane e materiali
10. Quanto tempo richiederanno le attività progettuali? Stabilite un cronogramma per raggiungere gli obiettivi desideratiCronogramma delle attività 
11. Ce la possiamo fare? Quali ostacoli potremmo incontrare durante il percorso? Come prevediamo che si possano risolvere?Fattibilità del progetto
12. Come facciamo a capire che abbiamo raggiunto i risultati che ci siamo prefissati? Ci sono degli indicatori da osservare per capire l’impatto del progetto?  Definite alcuni elementi concreti che possono aiutarvi a identificare i risultati proposti.Risultati e indicatori

Tabella 1: Scheda di progettazione delle attività di Service-Learning

Fonte: Culcasi et al., 2022. Le competenze trasversali presentate nella griglia fanno riferimento al Framework eLene4work (Erasmus+ 2015-2018).

Tappa D: esecuzione/realizzazione

La quarta fase – esecuzione – è quella operativa in cui si svolgono le attività di servizio solidale secondo gli obiettivi prefissati. È importante che il servizio sia strutturato secondo un arco temporale sufficiente a renderlo un’esperienza significativa. L’incontro con le circostanze esterne e gli inevitabili imprevisti ad esse connessi, potranno costringere gli attori del progetto a rivedere e adattare, secondo un processo continuo, ciò che era stato inizialmente pianificato. Per questo, ci sono alcune attività che dovrebbero essere sviluppare al fine di eseguire efficacemente il progetto. Tra queste l’attività di monitoraggio è necessaria per assicurare tanto la qualità degli apprendimenti curricolari quanto gli effetti delle attività solidali. In questa linea, potrebbe essere utile dedicare specifici momenti ad approfondire i risultati attesi rispetto a ciascuna delle attività previste dal progetto e utilizzare strumenti, come ad esempio rubriche, per monitorare i progressi raggiunti nelle aree di interesse secondo specifici indicatori. Inoltre, durante questa fase è determinante dedicare tempo alla riflessione strutturata: il formatore e/o il docente riflette con gli studenti sulle sfide che stanno incontrando, ragionando sull’impatto dei progetti a livello individuale e sociale. La riflessione può essere svolta singolarmente o in gruppo; può essere scritta o orale ed è la chiave affinché il percorso possa generare un apprendimento autentico, duraturo nel tempo (Furco, 2009). 

Tappe E: Chiusura e celebrazione

La quinta fase – chiusura e celebrazione – è dedicata alla conclusione del progetto: si realizza una riflessione finale sull’esperienza, in termini di obiettivi di apprendimento e di servizio raggiunti. Si organizza una giornata di incontro aperta alla comunità per celebrale gli esiti delle esperienze, per riconoscersi come parte di una comunità e ringraziare gli sforzi e l’impegno di tutti gli attori coinvolti. Per gli studenti, la celebrazione ha un valore altamente formativo perché permette la condivisione delle singole esperienze personali, dentro un momento celebrativo, di festa, offrendo opportunità di riflessione più profonda sul significato dell’esperienza. Secondo Tapia et al. (2013) la fase di chiusura e celebrazione di un progetto dovrebbe includere almeno tre momenti principali: un primo momento di ambientazione in cui si spiega la natura e logica dell’incontro; un secondo momento di contenuto in cui gli attori del progetto presentano l’esperienza e i risultati; e un terzo momento di dialogo in cui si rilancia l’impegno per progetti futuri, oltre a riconoscere gli sforzi di tutti gli attori del Service-Learning, attraverso, ad esempio, la consegna di certificati. A seconda del paese e della cultura del contesto, le modalità di chiusura e celebrazione assumeranno forme diverse ma avranno tutte l’obiettivo di riflettere criticamente sull’impatto della proposta pedagogica del Service-Learning da un punto di vista sociale, per la comunità coinvolta, e da un punto di vista personale, sugli attori dell’esperienza, in termini di crescita personale e collettiva. Non progettare un momento di chiusura e celebrazione significa infatti non considerare un aspetto pedagogico importante del SL, legato alla possibilità di incorporare dimensioni della vita personale, curricolare e comunitaria secondo un patto di coesione e partecipazione sociale ampio. Afferma a questo proposito Martínez-Montoya (2001, p. 9): “se qualcosa caratterizza questi ‘rituali’ comunitari, è il loro aspetto integratore (olistico). È l’intera comunità che celebra”. 


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