La via italiana alla scuola interculturale. Un racconto lungo 30 anni
Un racconto lungo 30 anni
Il paesaggio multiculturale della scuola italiana. Il confronto con alcuni paesi europei.
Sono quasi 900.000 (il 10,3% sul totale della popolazione scolastica) gli alunni con “cittadinanza non italiana”, i cosiddetti “alunni stranieri” nel linguaggio comune, seduti nei banchi della scuola italiana nell’anno scolastico 2019/2020. Sono pochi o sono tanti? O sono tantissimi? Dipende. Non sono tanti se rapportati al numero complessivo di studenti, cioè se invece del linguaggio secco dei numeri assoluti adottiamo il linguaggio delle percentuali. Il primo è prediletto dai mezzi di comunicazione di massa, dai politici e dall’opinione pubblica in generale perché sono i numeri che scandiscono e costruiscono il racconto delle “nuove” scuole e città multietniche, sono i numeri che fanno notizia: “ “nella mia scuola ci sono 200 studenti stranieri”; “nella mia classe ho 6 stranieri”; “nel mio comune ci sono più di 100 etnie !”, affermano a volte presidi, insegnanti, amministratori locali, senza dire quanti sono in totale gli studenti o gli abitanti, arrotondando sempre verso l’alto, alzando in modo ansiogeno l’asticella. E poi le “etnie” in una scuola non esistono (e forse non esistono in generale, bisognerebbe chiederlo agli antropologi): ci sono le persone, i gruppi, le famiglie, tante provenienze e tante storie diverse.
Se utilizziamo il linguaggio meno invasivo delle percentuali sappiamo invece che in Italia solo 10 studenti su 100 sono “stranieri”. E potremmo dire anche che nel nostro Paese non sono tanti gli studenti stranieri se confrontiamo i numeri della scuola italiana con quelli di altri grandi Paesi europei. La definizione di “alunno straniero” non sempre ha lo stesso significato e le modalità di rilevazione sono diverse ma il confronto con altri Paesi è comunque interessante.
In Francia per esempio gli “alunni di nazionalità straniera” sono quasi 500.000, il 4% circa della popolazione scolastica, molto meno dell’Italia. Ma non sono pochi, sembrano pochi: in Francia la rilevazione della nazionalità straniera prende in considerazione quella dell’alunno e non dei genitori. Si diventa francesi molto più velocemente anche se si è di origine straniera e il numero di studenti stranieri tende a diminuire a motivo della politica di assimilazione del governo francese che ha favorito l’acquisizione della cittadinanza. Ai primi posti, tra gli studenti di nazionalità straniera, algerini e marocchini. La Spagna utilizza la stessa definizione dell’Italia, gli alunni di “cittadinanza non spagnola” sono però più di 800.000, una percentuale dell’11% sul totale degli studenti spagnoli. Riguardo alle nazionalità di origine ai primi posti troviamo, naturalmente, gli alunni provenienti dall’America Latina: Ecuador, Colombia, Perù.
In Inghilterra la rilevazione viene fatta su base etnica, la categoria utilizzata è quella dell’appartenenza etnica, “autocertificata”, ossia dichiarata dai genitori per gli alunni fino a 11 anni, poi dai ragazzi stessi, in base ad un criterio non legato alla nazionalità ma alla provenienza da un gruppo che si definisce (ed è riconosciuta dagli altri ) come una comunità distinta. Gli alunni appartenenti ai “minority ethnic groups” sono quasi 1.500.000, il 22,6 % della popolazione scolastica. Ai primi posti nelle provenienze India e Pakistan.
Ma gli alunni “stranieri” possono essere anche tanti, anzi tantissimi e vissuti o percepiti come “troppi” se concentrati in singole classi, scuole e territori. La loro presenza è infatti molto disomogenea e, come è noto, i numeri assoluti o le medie delle percentuali non danno conto delle reali condizioni delle singole scuole e dei luoghi in cui sono immerse. Le classi con percentuali molto alte di bambini con cittadinanza non italiana si trovano, in gran parte, nelle scuole dell’infanzia e primarie delle regioni del Centro e del Nord Italia
Caratteristiche del paesaggio multiculturale della scuola italiana: velocità, policentrismo diffuso, molteplicità delle cittadinanze.
Il paesaggio della scuola multiculturale è dunque molto variegato e composito, un tessuto multiforme e con molti colori diversi, un “mantello di arlecchino”, per usare la metafora del filosofo francese Michel Serres Un paesaggio, un catalogo di luoghi e situazioni, un mondo di storie in cui conviene inoltrarsi muniti di una indispensabile bussola, un’ indicazione segnaletica fondamentale: il verbo distinguere. Tra Nord e Sud, città, paesi, biografie, contesti sociali. Tra bambini, adolescenti e giovani. Tra alunni stranieri di recente immigrazione, o appena arrivati, che non conoscono la lingua italiana, e se sono rumeni imparano velocemente e sono cinesi ci vuole molto più tempo…. E alunni, o studenti, figli di genitori immigrati ma nati in Italia, che parlano in italiano e a volte, benissimo, anche in dialetto, o nelle tradizionali, storiche lingue italiane, come i bambini ivoriani della Val Maira, nel cuneese che salutano in occitano. Mai “arrivati” dal loro Paese, mai avuta una valigia, o uno zaino da emigranti, e senza nostalgia di un Paese forse mai visto. E allora perchè chiamarli stranieri? “Stranieri a chi?”, hanno dato questo titolo ad un CD musicale un gruppo di giovani rapper, figli di immigrati della periferia romana. Come Amir, figlio di coppia mista, uno degli autori dei brani :” Sono nato a Tor Pignattara, a Roma, non ho mai avuto problemi con i miei amici, con la gente del quartiere. Soltanto con le istituzioni che mi considerano diverso, anche se sulla carta d’identità c’è scritto che sono nato a Roma mi chiedono sempre se sono straniero. Sono fiero di essere italiano ma c’è troppa confusione…”
Sono la maggioranza gli alunni di seconda generazione, nati in Italia, rappresentano più del 65% del totale degli alunni “stranieri”, ma nelle scuole dell’infanzia la media sale all’85%, più di 8 su 10 E questa è davvero un’indicazione segnaletica del paesaggio futuro. Un’attenzione particolare meritano gli alunni “ neoarrivati”, ovvero di recente immigrazione. Sono i non italofoni e per loro occorrono misure specifiche e mirate di accoglienza e apprendimento linguistico. Sono tuttavia un segmento minoritario, il 3,4% sul totale degli alunni “stranieri”.
Sono tre gli elementi che caratterizzano il paesaggio italiano e che influenzano la percezione che l’opinione pubblica, le comunità locali, le famiglie, gli insegnanti stessi hanno delle scuole Queste caratteristiche distinguono l’Italia da altri Paesi europei: la velocità, il policentrismo diffuso, la molteplicità delle cittadinanze presenti nelle classi.
La velocità
A differenza di altri Paesi europei di lunga tradizione multiculturale il cambiamento per la scuola è stato rapidissimo, è cominciato all’inizio degli anni novanta, con un’accelerazione negli ultimi vent’anni. Lo si vede prendendo in considerazione le presenze di alunni stranieri in piccoli centri o piccole città che mai avevano vissuto fenomeni di immigrazione ( “Prima i cinesi li avevamo visti solo alla tv..” dice il sindaco di Barge, il paese dei cinesi scalpellini , in provincia di Cuneo).
E se si fa il confronto con un Paese, molto vicino al nostro, come la Francia, si scopre che questa nazione è terra di immigrazione da più di 150 anni (e la stessa cosa si può dire dell’Inghilterra) e che per tutto il novecento ha mantenuto una percentuale di presenze straniere significativa. Per non parlare del diverso percorso di costruzione nazionale: la Francia è un Paese centralizzato che ha cercato di uniformare le diversità, in Italia invece sono storicamente più forti le autonomie e le istanze locali e municipali con la loro rete di associazioni impegnate nel sociale. Ed è questa l’Italia che emerge dai dati e dalle mappe sulla scuola multiculturale: l’Italia delle 100 città, dei 100 distretti industriali, dei 1000 campanili, delle valli alpine e appenniniche attivamente attraversate dalla globalizzazione. L’Italia delle province, delle piccole città veloci a mobilitare risorse economiche e sociali: è anche per queste caratteristiche del paesaggio multiculturale italiano che riveste un ruolo importante la presenza del terzo settore, del volontariato sociale, dell’associazionismo.
Ma vediamo alcuni esempi di paesaggio: Mantova è, dopo Prato, la provincia con la più alta percentuale di alunni stranieri in Italia , Macerata è la prima provincia per alunni stranieri di tutta la fascia adriatica, territorio dinamico e polo di attrazione per l’immigrazione. E Porto Recanati è ai primi posti, come percentuale di alunni stranieri nelle sue scuole, tra le piccole cittadine. Nelle provincie di Cuneo e Pordenone, Treviso e Piacenza ci sono percentuali più alte che non nelle scuole di Venezia e Bari, Napoli e Palermo, grandi città del Mediterraneo Nell’immaginario collettivo è forte la convinzione che gli immigrati arrivino dal mare, la nave degli albanesi nel 1989, i continui sbarchi visti al telegiornale, l’isola di Lampedusa al centro dell’attenzione. Ed in parte corrisponde alla realtà, basta entrare nelle scuole di Riace, Gioiosa Ionica o Mazara del Vallo, o nelle scuole e nei centri di istruzione per adulti della Sicilia, con la nuova (di questi ultimi anni) presenza di minori stranieri non accompagnati. Ma il maggior numero di alunni e studenti figli di immigrati sono seduti sui banchi delle scuole del centro e soprattutto del nord dell’Italia.
Diverso è il paesaggio di altri Paesi, Francia e Germania, per esempio, nei quali le scuole a forte presenza di studenti stranieri sono concentrate in alcune grandi arre del Paese, le zone industriali soprattutto.
Il policentrismo diffuso
È un “modello” asimettrico, quello dell’Italia, un paesaggio “policentrico e diffuso” in cui spiccano come poli di attrazione non solo i quartieri delle grandi città, con le periferie ex industriali ( come le scuole di Torino e Genova), i quartieri dei centri storici ( come Roma e Palermo) ma anche le piccole città, i paesi, i piccoli borghi delle valli, con le loro scuole rimaste aperte perché sono arrivati alunni stranieri, figli dei rifugiati sbarcati dalle navi come a Riace, in Calabria, o Bordolano, sulla sponda lombarda del fiume Oglio, con i figli degli indiani “arrivati”, anzi “chiamti” a lavorare nei campi e nelle stalle.
La molteplicità delle cittadinanze.
Il terzo elemento che caratterizza la scuola italiana è la molteplicità delle cittadinanze, i tanti e diversissimi Paesi di provenienza degli alunni “stranieri”, un tessuto multiforme e variegato anche nelle singole scuole e classi, sebbene alcune comunità siano nettamente più numerose delle altre. In particolare, Romania, Albania e Marocco sono le nazionalità più diffuse ed insieme costituiscono oltre il 40% dei ragazzi “stranieri” nelle scuole italiane. Sono presenti 180 cittadinanze diverse nelle scuole italiane, su 194 stati . C’è il mondo in classe, provenienze diversissime anche nelle scuole di piccoli centri: molte differenze quindi, una molteplicità di lingue, di modi diversi di “pensare” la scuola e l’istruzione . Da questo punto di vista l’Italia è un Paese più multiculturale di altri, nel senso di una maggior quantità di differenze che è possibile incontrare nelle scuole e nelle classi. In altri Paesi ci sono grandi gruppi, più omogenei per culture, lingue, orientamenti religiosi: i maghrebini in Francia, i turchi in Germania, i gruppi asiatici in Inghilterra. Le “conseguenze” della presenza di “arlecchino in classe” sono evidenti: è ben diverso organizzare una scuola e lavorare in una classe con allievi provenienti da un solo gruppo culturale (la classe o la scuola con tanti cinesi a Prato, o con tanti ecuadoriani a Genova, per esempio) piuttosto che con classi e scuole con tante diverse provenienze. Ma “arlecchino in classe” ci fa perdere o ci fa guadagnare? Porta problemi e confusione, o porta vivacità, aria nuova, elementi di trasformazione? O dipende? Da che cosa dipende? Di fronte a questa realtà, ovvero l’inserimento via via crescente dei figli degli immigrati nella scuola, l’Italia ha scelto, fin dall’inizio della sua esperienza di Paese d’immigrazione, la prospettiva educativa dell’educazione interculturale. Che cosa indicano queste parole?, quando si è cominciato ad usarle?
La via italiana alla scuola interculturale. Dal 1990 al 2022: un percorso in undici tappe
Anno 1989, agosto, nelle campagne di Villa Literno, in Campania, viene ucciso un lavoratore stagionale impegnato nella raccolta dei pomodori. Si chiama Jerry Masslo, è un giovane immigrato, scappato dal Sudafrica dell’apartheid. Il fatto provoca mobilitazioni antirazziste in tutto il Paese, come non era mai accaduto.
Inizia il nuovo anno scolastico 1989/1990, sono 18.474 gli alunni stranieri iscritti nelle nostre scuole, al primo posto gli alunni provenienti dal Marocco.
Nel 1990 viene organizzata la prima conferenza nazionale sull’immigrazione e approvata la legge sull’immigrazione, detta “Legge Martelli”. Una parte dell’opinione pubblica comincia a capire, e a scoprire che l’Italia e la sua scuola stanno cambiando, che il paesaggio umano, sociale delle nostre città e scuole sta diventando multiculturale.
Escono i primi libri scritti da autori immigrati, definiti in quei primi anni “letteratura delle migrazioni”. Per esempio Pap Kouma, Io, venditore di elefanti, Garzanti, 1990. Sono, all’inizio, libri scritti “con l’aiuto di”: a volte un giornalista, oppure un insegnante. Sono storie di viaggi dal Sud al Nord del mondo, piccole odissee, sguardi venuti da lontano.
Al Ministero della pubblica istruzione viene costituito per la prima volta un gruppo di lavoro per l’inserimento degli alunni stranieri nella scuola dell’obbligo. Il gruppo è organizzato dalla Direzione generale della scuola elementare: è composto da funzionari, esperti scolastici e docenti universitari e concorre all’elaborazione delle prime due importanti circolari sul tema: 8 settembre 1989, n. 301, Inserimento degli stranieri nella scuola dell’obbligo: promozione e coordinamento delle iniziative per l’esercizio del diritto allo studio e, 26 luglio 1990, n. 205, La scuola dell’obbligo e gli alunni stranieri: l’educazione interculturale.
Inizia da qui, da questo anno 1989/1990, il viaggio dell’idea di “educazione interculturale” nei documenti del Ministero dell’istruzione e poi via via nei documenti delle altre istituzioni governative e locali e nel linguaggio adottato da scuole e associazioni
La tesi che presento è che la costruzione della prospettiva interculturale è andata avanti in modo lineare e progressivo ma non è stata percepita dalle scuole come espressione di un disegno generale e convinto, di un modello condiviso. L’accompagnamento, la manutenzione dei principi e della normativa è stata però intermittente e non sempre alle indicazioni e raccomandazioni nazionali hanno fatto seguito azioni coerenti, sostenute da risorse, da valutazioni sull’efficacia e l’utilità delle pratiche, da programmi di formazione. Per questi motivi si può dire che l’“educazione interculturale” è una scelta fatta più di trent’anni fa ma quell’indicazione segnaletica, intercultura ,ci mostra una strada in salita, un percorso ancora da compiere, con molte curve e ostacoli da superare.
Presento qui, in modo sintetico, una serie di tappe della “via italiana alla scuola interculturale” che a partire dal 1989 arrivano fino al 2022 :
Anno 1989. Il primo documento sugli alunni stranieri.
L’obiettivo della circolare del ministero della pubblica istruzione del 1989 era soprattutto quello di disciplinare l’accesso generalizzato al diritto allo studio, l’apprendimento della lingua italiana e la valorizzazione della lingua e cultura d’origine. L’attenzione era posta esclusivamente sugli alunni stranieri (v. C.M. 8/9/1989, n. 301, Inserimento degli alunni stranieri nella scuola dell’obbligo. Promozione e coordinamento delle iniziative per l’esercizio del diritto allo studio).
Anno 1990. Il primo documento sull’educazione interculturale.
Nella circolare successiva si afferma, invece, il principio del coinvolgimento degli alunni italiani in un rapporto interattivo con gli alunni stranieri/immigrati, in funzione del reciproco arricchimento (v. C.M. 22/7/1990, n. 205, La scuola dell’obbligo e gli alunni stranieri. L’educazione interculturale).
Questo documento introduce per la prima volta il concetto di educazione interculturale, intesa come la forma più alta e globale di prevenzione e contrasto del razzismo e di ogni forma di intolleranza: «L’educazione interculturale avvalora il significato di democrazia, considerato che la diversità culturale va pensata quale risorsa positiva per i complessi processi di crescita della società e delle persone […]. Gli interventi didattici, anche in assenza di alunni stranieri, devono tendere a prevenire il formarsi di stereotipi nei confronti di persone e culture. Su quest’ultimo aspetto insiste anche la pronuncia del Consiglio nazionale della pubblica istruzione del 24/3/1993, Razzismo e antisemitismo oggi: il ruolo della scuola.
Anno 1994. La dimensione interculturale nelle discipline.
Si individua l’Europa, nell’avanzato processo di integrazione economica e politica in corso, come società multiculturale, imperniata sui motivi dell’unità, della diversità e della loro conciliazione dialettica, e si colloca la dimensione europea dell’insegnamento nel quadro dell’educazione interculturale, con riferimento al trattato di Maastricht e ai documenti della Comunità Europea e del Consiglio d’Europa (v. Il dialogo interculturale e la convivenza democratica, C.M. 2/3/1994, n. 73). Un documento molto completo che interviene anche sulle discipline e sui programmi rivisti alla luce della dimensione interculturale. Si fa un riferimento anche all’utilità di biblioteche e scaffali multiculturali nelle scuole e nelle biblioteche pubbliche, all’editoria per ragazzi, all’importanza di strumenti didattici adeguati, come i libri bilingui e plurilingui. È un documento molto attuale. Sul tema della prospettiva interculturale nei saperi e nelle discipline, su come si insegna storia, geografia, scienze , matematica, diritto nelle scuole e nelle classi multiculturali si sono fatti pochi progressi.
In quanto al tema dell’Europa quanto sarebbe necessario riprendere questo documento. Assistiamo allo scenario drammatico di un’Europa che va verso la disintegrazione piuttosto che verso l’integrazione, che costruisce muri e reticolati e affronta, in modo individualistico, la sfida delle migrazioni.
Anno 1998. La legge sull’immigrazione.
Rilevante la sottolineatura, contenuta nella Legge sull’immigrazione n. 40 del 6 marzo 1998 (la cosiddetta Legge Turco-Napolitano), art. 36, sul valore formativo delle differenze linguistiche e culturali: «Nell’esercizio dell’autonomia didattica e organizzativa, le istituzioni scolastiche realizzano, per tutti gli alunni, progetti interculturali di ampliamento dell’offerta formativa, finalizzati alla valorizzazione delle differenze linguistico-culturali e alla promozione di iniziative di accoglienza e di scambio».
Il Decreto Legislativo del 25 luglio 1998, n. 286 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero riunisce e coordina le varie disposizioni in vigore in materia con la stessa Legge n. 40/98, ponendo, anche in questo caso, particolare attenzione all’effettivo esercizio del diritto allo studio, agli aspetti organizzativi della scuola, all’insegnamento dell’italiano come seconda lingua, al mantenimento della lingua e della cultura di origine, alla formazione dei docenti e all’integrazione sociale.
Tali principi sono garantiti nei confronti di tutti i minori stranieri, indipendentemente dalla loro posizione giuridica, così come espressamente previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica del 31 agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti le disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. In particolare, si legge che l’iscrizione scolastica può avvenire in qualunque momento dell’anno e che spetta al Collegio dei docenti formulare proposte per la ripartizione degli alunni stranieri nelle classi, evitando la costituzione di sezioni in cui la loro presenza sia predominante, e definire, in relazione ai livelli di competenza dei singoli alunni, il necessario adattamento dei programmi di insegnamento. Inoltre, per sostenere l’azione dei docenti, si affida al Ministero dell’istruzione il compito di dettare disposizioni per l’attuazione di progetti di aggiornamento e di formazione, nazionali e locali, sui temi dell’educazione interculturale.
L’accento viene posto sui diritti umani, sull’educazione alla cittadinanza e alla convivenza civile.
Anno 2000. L’educazione interculturale come normalità dell’educazione.
Nel frattempo presso il ministero era stata istituita una Commissione nazionale per l’educazione interculturale (1997), che elabora un documento con l’obiettivo di presentare l’educazione interculturale come “normalità dell’educazione” nelle società globali, come dimensione diffusa e trasversale nella scuola del nostro tempo. Si tratta di uno sviluppo del tema, di un accento nuovo per quegli anni ma utilissimo oggi: la “normalità” dell’integrazione!
Azioni di sostegno nei confronti del personale docente impegnato nelle scuole a forte processo immigratorio sono definite dalla C.M. n. 155/2001, attuativa degli articoli 5 e 29 del CCNL del comparto scuola: fondi aggiuntivi per retribuire le attività di insegnamento vengono assegnati alle scuole con una percentuale di alunni stranieri e nomadi superiore al 10% degli iscritti. L’impegno viene confermato anche negli anni successivi, ma con un forte ridimensionamento delle risorse economiche.
La legge sull’immigrazione del 30 luglio 2002, n. 189, cosiddetta Bossi-Fini, che modifica la precedente normativa in materia di immigrazione ed asilo, non ha cambiato le procedure di iscrizione degli alunni stranieri a scuola, che continuano ad essere disciplinate dal Regolamento n. 394 del 1999. Rimane anche l’indicazione dell’“educazione interculturale”.
Anno 2006. Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione.
La C.M. n. 24, del 1 marzo 2006 Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri redatta da un Gruppo di lavoro per l’integrazione degli alunni stranieri, composto da esperti, dirigenti scolastici e insegnanti, fornisce un quadro riassuntivo di indicazioni per l’organizzazione di misure volte all’inserimento degli alunni stranieri. L’accento è chiaramente posto sugli alunni stranieri, il documento ha soprattutto finalità pratiche, l’offerta di un comune denominatore operativo, concreto, ricavato dalle buone pratiche delle scuole, da proporre a tutto il sistema scolastico. Non mancano alcune decise indicazioni di scelte culturali e didattiche: «L’Italia ha scelto la piena integrazione di tutti nella scuola e l’educazione interculturale come suo orizzonte culturale […]»; «Per un pieno inserimento è necessario che l’alunno trascorra tutto il tempo scuola nel gruppo classe, fatta eccezione per progetti didattici specifici, ad esempio l’apprendimento della lingua italiana […]. L’immersione in un contesto di seconda lingua parlata da adulti e compagni facilita l’apprendimento del linguaggio funzionale».
Si comincia a definire il tema delle scuole a forte presenza di alunni stranieri, che diventerà sempre di più oggetto di analisi, ricerche e polemiche politiche. Un tema attualissimo oggi: sono aumentate le preoccupazioni delle famiglie italiane per le scuole con tanti stranieri. Sarà ripreso dalle circolari ministeriali sulle iscrizioni del 15 dicembre 2007 e del 15 gennaio 2009 e soprattutto dalla circolare dell’8 gennaio 2010 (si veda in seguito).
Il documento raccoglie alcune preoccupazioni delle famiglie e degli insegnanti, sul rischio di rallentamento o di impoverimento didattico, a danno degli alunni italiani, nelle scuole a forte presenza di alunni stranieri. Il primo paragrafo della seconda parte, è intitolato Un’equilibrata distribuzione degli alunni stranieri e contiene raccomandazioni e suggerimenti alle scuole per lavorare in rete e coordinarsi tra loro, per costruire intese e patti con il territorio.
Anno 2007. La via italiana alla scuola interculturale.
Il documento La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri (ottobre 2007), è redatto dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale, istituito nel dicembre 2006 al Ministero della pubblica istruzione, composto da esperti delle diverse discipline e da mediatori culturali rappresentanti delle diverse aree culturali.
Il titolo del documento riunisce due dimensioni complementari, due sguardi: quello dell’“intercultura” che coinvolge tutti gli alunni e tutte le discipline, che attraversa i saperi e gli stili di apprendimento e quella dell’“integrazione”, ovvero dell’insieme di misure e azioni specifiche per l’accoglienza e gli apprendimenti linguistici, in particolare degli alunni di recente immigrazione.
Il documento è suddiviso in due parti: i principi (le migliori pratiche realizzate nelle scuole fin dal primo presentarsi di alunni stranieri nella scuola, la normativa italiana espressa in varie forme dai governi centrali e le azioni degli Enti locali si richiamano prioritariamente a quattro principi generali ovvero l’universalismo, la scuola comune, la centralità della persona in relazione con l’altro, l’intercultura) e le azioni (10 azioni che caratterizzano il modello di integrazione interculturale italiano e lo possono sostenere se sono accompagnate da cure, risorse, dispositivi normativi, consapevolezza politica). Le azioni sono:
- Pratiche di accoglienza e di inserimento nella scuola; Italiano seconda lingua;
- Valorizzazione del plurilinguismo;
- Relazione con le famiglie straniere e orientamento;
- Relazioni a scuola e nel tempo extrascolastico;
- Interventi sulle discriminazioni e sui pregiudizi;
- Prospettive interculturali nei saperi e nelle competenze;
- L’autonomia e le reti tra istituzioni scolastiche, società civile e territorio;
- Il ruolo dei dirigenti scolastici;
- Il ruolo dei docenti e del personale non scolastico.
Anno 2007. La formazione dei dirigenti e l’insegnamento dell’italiano a studenti stranieri.
A seguito dell’impulso dato dal documento La via italiana alla scuola interculturale vengono attivate, e accompagnate da risorse economiche, due azioni (delle 10 indicate nel documento): la prima rivolta alla formazione dei dirigenti di scuole multiculturali, la seconda agli studenti stranieri di recente immigrazione.
Il titolo dell’azione finalizzata alla formazione è Dirigere le scuole in contesti multiculturali: a partire dalle scuole a forte presenza di alunni stranieri sono stati organizzati una serie di seminari nazionali di formazione, a cadenza annuale o semestrale (Rimini, maggio 2007; Torino, novembre 2007; Milano, aprile 2008; Abano Terme, maggio 2009; Catania, febbraio 2010; Riccione, marzo 2011; Piacenza, settembre 2013; Prato, marzo 2014; Roma, febbraio 2015; Torino, maggio 2015; Napoli, marzo 2016).Dal 2018 è partita invece un’altra linea di formazione, attraverso master universitari destinati a dirigenti scolastici e insegnanti di scuole in contesti multiculturali, con risorse del Fondo Asilo Migrazioni Integrazione (FAMI). Dice il documento La via italiana, riguardo alla formazione dei dirigenti scolastici: «Si rende indispensabile una formazione dei dirigenti mirata anche ad accrescere specifiche competenze gestionali e relazionali, sia interne alla scuola (dispositivi di accoglienza e promozione dell’inclusione, laboratori linguistici, procedure amministrative e di valutazione), sia esterne (rapporti con le altre scuole, con gli enti locali, con le possibili risorse del territorio) […]».
La seconda azione è il Piano nazionale per l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda destinato in particolare agli alunni di recente immigrazione delle scuole secondarie di primo e secondo grado, quindi a coloro che sono alle prese con la scuola delle “discipline”, che hanno già fatto anni di scuola nel paese di provenienza e sono a volte abituati al altri stili di insegnamento/apprendimento. Il piano è stato elaborato dall’Osservatorio e finanziato all’interno del Programma “Scuole aperte” per l’anno 2009 (Circolare 27 novembre 2008, Programma nazionale Scuole aperte).
Anno 2010. La scuola sul tetto: il limite del 30% per gli alunni stranieri.
La C.M. n. 2, 8 gennaio 2010, Indicazioni e raccomandazioni per l’integrazione degli di alunni con cittadinanza non italiana riprende il tema di “un’equilibrata distribuzione degli alunni stranieri”, tra scuole e nelle classi, in particolare di coloro che non parlano la lingua italiana. Introduce il “tetto” del 30% di alunni stranieri per classe. La proposta del “tetto” suscita molte discussioni e polemiche che coinvolgono i partirti e i media. In realtà la discussione rimane a livello astratto perché si considera il dato statistico, cioè la provenienza dei bambini e non le loro reali capacità o difficoltà.
Molti bambini cosiddetti “stranieri” sono nati e cresciuti in Italia, hanno frequentato le scuole dell’infanzia e se provengono dai Paesi dell’Est europeo, come l’Albania e la Romania, spesso recuperano in tempi veloci il gap linguistico con i compagni. Inoltre, dal punto di vista organizzativo e logistico diventa spesso impossibile, o impraticabile e anche ingiusto spostare alunni da una scuola all’altra per rispettare un tetto astratto; e poi se in una scuola di montagna o in paese lontano da altri centri chi dovrebbe spostarsi?
Di fatto per queste ragioni il “tetto” non viene applicato. La circolare del ministero ribadisce e precisa quanto già indicato in documenti precedenti: la linea è quella di favorire un’equilibrata distribuzione di alunni stranieri tra le scuole e tra le classi, con particolare attenzione a coloro che sono di recente immigrazione.
Il Documento Indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all’accoglienza degli alunni stranieri nelle scuole italiane, redatto dalla Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati, 12 gennaio 2011 (il rapporto integrale è stato presentato il 28 giugno 2011) contiene dati, esperienze, analisi, proposte frutto di audizioni con testimoni privilegiati e visite sul campo da parte della Commissione.
Anno 2014. Un aggiornamento delle Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri.
La C.M. n 4233, 19 febbraio 2014, Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, aggiorna le precedenti Linee guida del 2006. In particolare introduce i temi dello sviluppo della scolarizzazione nel secondo ciclo, sottolinea la diversità di bisogni tra alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia o di recente immigrazione, introduce il tema della cittadinanza e delle seconde generazioni e la questione dell’istruzione degli adulti.
Anno 2015. “Diversi da chi? Dieci raccomandazioni e proposte”, a cura dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura, Ministero dell’istruzione.
Il documento Diversi da chi? Raccomandazioni per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura, redatto dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura – istituito dal Ministro nel settembre del 2014 – è stato inviato alle scuole con Circolare del Capo Dipartimento, 9 settembre 2015 Contiene dieci raccomandazioni e proposte operative. Per la prima volta, in venticinque anni, nel documento Diversi da chi? non si è utilizzata la definizione di “alunni stranieri”, ritenuta inadeguata e superata, si sono utilizzate altre definizioni: “studenti con background migratorio”, “figli di migranti”, “alunni con origini migratorie”.
Insieme a questo documento sono state presentate alle scuole due azioni: una per l’insegnamento della lingua italiana come lingua seconda, rivolta agli alunni di recente immigrazione delle scuole secondarie ed un’altra rivolta all’integrazione dei minori stranieri non accompagnati. Il notevole aumento di questi minori, influenzato dagli sbarchi dei migranti, ha posto, infatti, alle scuole nelle quali sono stati iscritti nuove questioni organizzative e didattiche. Si tratta di far crescere consapevolezza e sensibilità interculturali e promuovere specifiche competenze nella gestione di classi o gruppi plurilingui e nel rapporto con le famiglie e i mediatori culturali. La formazione interculturale si configura come prospettiva di innovazione: proprio il contesto delle diversità culturali, infatti, “obbliga” l’insegnante ad uscire dai canoni dell’insegnamento trasmissivo. Ci sono inoltre questioni etiche da affrontare che presuppongono nell’insegnante la capacità di leggere ed “esplorare” domande e questioni nuove.
Anno 2015 e successivi. Seminari annuali “Costruttori di ponti”.
È stato un anno difficile, il 2015. Sui temi delle migrazioni e dell’integrazione sono accaduti fatti drammatici, dall’attentato alla redazione del giornale francese Charlie Hebdò, nel mese di gennaio, alla strage di novembre, sempre a Parigi. Anche nelle nostre scuole è aumentata la preoccupazione, tra gli insegnanti e le famiglie. Le idee e le convinzioni sulla scelta dell’“intercultura”, sembrano appannate e incerte. Una delle parole che abbiamo letto e sentito più spesso in questi mesi (sui giornali, in televisione, alla radio) è “muri”. L’Europa sembra diventata una fortezza assediata: è stato costruito un muro di filo spinato in Ungheria per impedire il passaggio dei migranti dalla Serbia ed altri paesi ne hanno seguito l’esempio. E poi blocchi a Ventimiglia, a Calais, al valico per l’Austria. A più di 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino – che coincidenza: il nostro viaggio nella parola “intercultura” è coinciso con la caduta del Muro! – l’Europa è tornata a costruire altri muri, a chiudersi e a parlare di frontiere e di confini.
Sembra di essere tornati indietro, anche nella scuola. Ci sono più incertezze e preoccupazioni. La via dell’intercultura è in salita.
E c’è ancora, ed è molto diffusa, una rappresentazione superficiale e deformata che vede negli stranieri solo o soprattutto un gruppo fragile, in difficoltà, bisognoso d’aiuto, vulnerabile. Un modo di pensare difensivo, l’idea di integrazione come aiuto ai più deboli: bisogna accoglierli, insegnare la lingua, orientarli. Un’idea sociale, da continua emergenza, e in parte è anche così, ma non tutti sono fragili. Una parte di loro conosce le lingue e il mondo meglio di noi e dei “nostri” studenti, sa resistere e adattarsi, porta punti di vista differenti sulla scuola e l’educazione e da parte delle loro famiglie c’è una fiducia nella scuola e una speranza nel futuro di cui noi abbiamo perso traccia.
Un esempio: la maggioranza degli studenti “stranieri” immatricolati all’Università è costituita da studenti che provengono dalle scuole italiane (e non dall’estero) e una percentuale significativa proviene da istituti tecnici e professionali.
Anche se hanno accumulato ritardi scolastici, anche se sono arrivati senza conoscere la lingua italiana, anche se “schiacciati” su scelte tecnico/professionali, una parte di loro non rinuncia a proseguire gli studi. Un chiaro segnale della spinta verso lo studio, della fiducia, del sogno, della speranza nel futuro da parte di alcuni gruppi di immigrati. Dal 2015 al 2022 si sono svolti seminari annuali, sui temi citati, con il titolo di Costruttori di ponti.
Anno 2022. Orientamenti interculturali. L’integrazione degli alunni e delle alunne provenienti da contesti migratori
A cura dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura, Ministero dell’istruzione
Il documento, presentato a marzo 2022, rinnova indicazioni e proposte operative per la realizzazione di misure specifiche dedicate agli studenti provenienti da contesti migratori, con l’obiettivo di promuovere un rinnovamento della didattica e delle relazioni tra tutti gli studenti, in un contesto di crescente pluralismo sociale e culturale. La definizione “alunni e alunne provenienti da contesti migratori” sostituisce la definizione “alunni stranieri”, per più ragioni ormai del tutto inadeguata. Il documento aggiorna e attualizza le precedenti Linee guida, del 2014, alla luce dei cambiamenti avvenuti nel paesaggio multiculturale della scuola italiana negli ultimi dieci anni. Ne indico alcuni tra i più significativi:
- Il calo demografico: la diminuzione degli alunni italiani, centomila in meno solo nell’anno scolastico 2019/2020;
- L’aumento delle seconde generazioni, ovvero degli alunni provenienti da contesti migratori ma nati in Italia. Sono più del 65% dei quasi 900.000 alunni provenienti da contesti migratori (anno 2019/2020);
- Si è tornati a discutere del tema della cittadinanza per i figli di immigrati. Tra le diverse proposte di legge depositate in Parlamento c’è quella dello ius scholae che attribuisce proprio alla scuola e all’istruzione un compito decisivo;
- È cambiata e si è differenziata anche l’idea di appartenenza: al legame con un territorio o nazione di provenienza familiare si sono aggiunte una sensibilità europea e globale. E una sensibilità ecologica nuova, come dimostrano le manifestazioni per il clima di questi anni che hanno accomunato giovani studenti di tutte le provenienze; la multiculturalità è un tratto che accomuna alunni italiani e non; sono importanti le somiglianze, il denominatore comune nelle diversità.
- La competenza e cittadinanza digitale accomuna le nuove generazioni indipendentemente dalle provenienze nazionali: è nota e condivisa la definizione di nativi digitali che connota tutti i ragazzi
- C’è un nuovo impegno e interesse da parte di istituzioni e centri di ricerca verso la fascia d’età 0/6, a cui sono dedicate, per esempio, le “ Linee pedagogiche per il sistema integrato 0/6”, del Ministero dell’istruzione, 2021;
- I Centri di istruzione per adulti (CPIA) sono stati istituiti dieci anni fa. Queste istituzioni scolastiche vedono una presenza di allievi, giovani e meno giovani, provenienti per il 70% da contesti migratori.
Per approfondimenti:
Ongini, V. (2011), Noi domani. Viaggio nella scuola multiculturale, Laterza: Bari
Ongini, V. (2019), Grammatica dell’integrazione. Italiani e stranieri a scuola insieme, Laterza: Bari