Il nord piange e il sud s’interroga. Questa è l’emblematica immagine che campeggia tra le strade della capitale maliana Bamako (di cui non si conosce però l’autore), e che è una triste verità per tutti i maliani. È passato più di un mese da quando il Comitato Nazionale per il Ristabilimento della Democrazia e la Restaurazione dello Stato (CNRDR), con a capo il Capitano Amadou Hawa Sanogo, ha effettuato il colpo di stato. E’ stato così destituito il presidente della Repubblica Amadou Toumani Touré, accusato di non stare gestendo al meglio la guerra contro il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (MNLA) presente nella zona nord del paese a maggioranza etnica Tuareg. Da circa trent’anni differenti movimenti Tuareg chiedono maggiore autonomia e, alcuni, parlano anche di secessione.
Secondo i militari, il presidente Amadou Touré non aveva interessi a chiudere la guerra al nord, e per questo non forniva i giusti armamenti e il sostegno necessario. Ma nessuno si sarebbe aspettato un colpo di stato a un mese dalla data di svolgimento delle elezioni. I militari hanno assunto il potere occupando il palazzo presidenziale e la sede della tv e radio nazionali da cui hanno dato i primi comunicati audio/video. Hanno imposto il coprifuoco nelle ore centrali della giornata, hanno emanato una costituzione provvisoria ed hanno chiuso le frontiere aeree e terrestri.
La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO) ha da subito condannato il colpo di stato e ha deciso di sospendere in maniera preventiva le transazioni finanziarie, imponendo un embargo totale. La comunità internazionale quasi al completo, oltre a condannare il colpo di stato, ha in concreto chiuso i rubinetti agli aiuti bilaterali, fondi con cui quali lo stato maliano alimenta le sue spese. Cominciavano quindi a mancare i beni di prima necessità, il carburante e i medicinali.
L’MNLA, dal canto suo, approfittando della ritirata dei militari verso Bamako, in soli tre giorni ha conquistato senza sforzo e con l’impiego di pochi uomini i tre capoluoghi di regione del nord: Kidal, Gao e Timbuctu. Con la conquista di tutta la regione dell’Azawad (in lingua tamashek, vasta area del nord dove si fa pascolo), il 5 aprile 2012, l’MLNA ha annunciato la fine delle operazioni militari e il giorni successivo, il 6 aprile, ne ha dichiarato l’indipendenza. Ma, se in un primo momento l’MNLA è stata compatta e ha esercitato il controllo con altri gruppuscoli armati nel nord, le cose sono cambiate quando l’ultima città è stata conquistata. Infatti, dopo la presa di Timbuctu, il movimento si è spaccato e, da un lato, i piccoli gruppi armati si sono ingranditi e, dall’altro, non hanno rispettato l’autorità dell’MLNA. E’ stata la deriva islamica che ha fatto spaccare il movimento. Ecco allora che si è fatto spazio Ançar Eddine, un gruppo islamico armato interessato a imporre in tutto il Mali (quindi non solo nella regione nord dell’Azawad) la shari’a, la legge islamica; e, accanto a questo, il movimento islamico integralista Al-Qaida au Maghreb Islamique (AQMI). Ad oggi Kidal è la città in cui la situazione è meglio delineata. L’intera città, a totalità etnica Tuareg, è in mano all’MLNA. A Gao, la situazione si struttura in modo meno netto. La città è gestita da Ançar Eddine e da altri piccoli gruppi armati. Sono numerosi gli atti di banditismo e la sicurezza è incerta. Situazione di insicurezza totale invece a Timbuctu. La città è infatti divisa in numerose aree in mano ad altrettanti gruppi armati. Ed inoltre qui pare essere nato un altro movimento, il Front National de Libération de l’Azawad (FNLA), che si professa laico e non secessionista.
E il nord piange. Secondo l’United Nation for the Coordination of Humanitarian Aids (OCHA) e l’United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) i profughi che hanno lasciato il nord del Mali verso il centro-sud del Paese o verso i Paesi limitrofi (Mauritania, Algeria, Niger e Burkina Faso) sono circa 250 mila. Secondo il rapporto OCHA dell’aprile 2012, erano 46 mila i profughi in Mauritania, 30 mila in Algeria, 25 mila in Niger e 23 mila in Burkina Faso. Sarebbero invece più di 90 mila i profughi che si sono spostati verso la capitale o verso le regioni di Mopti e Segou. Questi vivono in condizioni precarie, lontano dalle loro case, dai loro beni, dai loro affetti. E quelli che hanno deciso di rimanere non vivono meglio. Infatti si registrano forti carenze alimentari (dovute anche alla poco produttiva stagione cerealicola e alla siccità) e di medicine e carburante. Proprio per rispondere alla situazione di insicurezza alimentare, prima del colpo di stato, stava per partire un programma di emergenza coordinato dalle Nazioni Unite per contrastare la siccità e l’insicurezza alimentare nelle regioni nord del Mali. Erano previste distribuzioni di sacchi di cereali e voucher alimentari, che purtroppo sono per il momento sospesi, anche se si comincia a esprimere la volontà di costituire un “corridoio umanitario” (e questo vorrebbe dire quindi fare degli accordi con i ribelli) per portare i beni di prima necessità alle popolazioni del nord. Secondo OCHA, fino ad aprile, il numero di maliani che vive in condizioni di insicurezza alimentare sarebbe di 3.5 milioni di persone. In altre parole, 1 maliano su 4.
Solo il primo aprile 2012, dopo la mediazione del presidente del Burkina Faso Blaise Compaore, i putchisti (come vengono chiamati i militari appartenenti al CNRDR), hanno firmato un accordo di transizione democratica che prevedeva il ritorno all’ordine costituzionale e la nomina a presidente della Repubblica dell’ex presidente dell’Assemblea Nazionale Dioncounda Traoré, in carica per un anno. L’accordo prevedeva inoltre che i militari del CNRDR dovessero tornare nelle caserme e riprendere le loro normali funzioni. Così però non è stato. Infatti, il CNRDR non ha mai abbandonato il controllo dei punti chiave di Bamako ed inoltre è presente in tre ministeri chiave (difesa, interno e protezione civile, amministrazione territoriale), nel nuovo governo di transizione formato il 24 maggio, con a capo il presidente Cheick Modibo Diarra.
Il 26 aprile la CEDEAO ha deciso di inviare un contingente di militari (3000 uomini, con un costo di circa 450 milioni di dollari in 12 mesi) per proteggere e difendere le funzioni del governo di transizione e per organizzare un intervento armato al nord. In un primo momento sembrava che il presidente della Repubblica volesse cercare un negoziato con i ribelli del nord, ma senza mettere in discussione l’integrità territoriale del Mali. D’altra parte i ribelli hanno dichiarato di voler essere pronti a negoziare ma senza toccare l’integrità e l’autonomia del territorio nord dell’Azawad.
Il CNRDR però, pur avendo firmato l’accordo di transizione con la CEDEAO e pur essendo presente nel governo, si sente tradito e ha dichiarato che non accetterà alcun intervento esterno per gestire la situazione maliana, soprattutto al nord.
La situazione politica del Mali è a un bivio. L’emblematico punto interrogativo dell’immagine potrebbe essere risolto. Nei prossimi giorni sarà chiaro se i putschisti vorranno davvero fare un passo indietro e permettere alla CEDEAO di intervenire in Mali (in primis al nord) oppure se li contrasteranno e in questo caso si porranno contro l’accordo di transizione e, di fatto, al di fuori del governo, che invece ne ha auspicato l’intervento.
Ma il punto interrogativo non si ferma al solo CNRDR. L’intervento della CEDEAO, e l’investitura del presidente Traoré è stata messa in discussione anche da numerosi partiti politici e organizzazioni della società civile maliana. È soprattutto il partito di Ibrahim Boubacar Keita, Rassemblement pour le Mali (RPM) che ricorda che il presidente Traoré poteva essere investito per un tempo limitato di quaranta giorni (e non per 12 mesi come deciso dalla CEDEAO).
Una situazione potenzialmente esplosiva, dunque. Salvo che il capitano Amadou Sanogo e i suoi militati decidano di fare un vero passo indietro e appoggiare una reale transizione democratica, fissando a sole due settimane dopo il colpo di stato, il ritorno alla legalità costituzionale.
Di sicuro, con questo colpo di stato, seppur non violento, il Mali ha fatto un balzo indietro in quanto a rispetto per la democrazia, attenzione alla sicurezza e peso internazionale. Ponendo degli ostacoli, almeno nel breve termine, all’arrivo di aiuti internazionali e di turisti. Forse è vero che il presidente Amadou Touré non ha fatto il necessario per rispondere agli attacchi dei ribelli del nord, ma i putschisti, avendo ereditato un paese in gravi difficoltà, potrebbero portarlo al completo sfinimento. A maggior ragione perché il bilancio dell’emergenza umanitaria al nord, e nel resto del Paese (dato che gli sfollati interni si spostano verso le regioni centro-meridionali) si fa sempre più preoccupante e incerta.
Alberto Fascetto
Servizio Civile CISV in Mali