di Francesca Robaldo
Francesca è una studentessa dell’Università di Torino, tramite il progetto UNI.COO ha potuto avvicinarsi alle microimprese rurali senegalesi del progetto PAISIM, rimanendo colpita dalla forte componente sociale che motiva le attività di tante imprenditrici. Qui ci racconta la sua esperienza.
Io e Simona, mia compagna di ricerca, siamo in Senegal da due mesi grazie a una collaborazione tra CISV e Università di Torino, per condurre un audit di genere focalizzato sui beneficiari del progetto PAISIM, Programme d’Appui à l’Entreprise sociale et à la Initiative migrante dans les régions de Saint Louis, Thiès et Louga.
Condurre una ricerca in autonomia è senza dubbio una grande opportunità per noi, sotto tanti punti di vista: permette di tradurre la teoria imparata sui libri in pratica, ma anche di capire quali e quante sono le difficoltà di un percorso del genere.
Sono stati due mesi densi di incontri: condurre una ricerca di questo tipo vuol dire ascoltare, farsi raccontare, domandare. Abbiamo il privilegio di poter dedicare a questi incontri il tempo che meritano, e in alcune occasioni di lasciarci trasportare dai discorsi tornando a casa con qualche riflessione, o qualche domanda, in più.
Penso sia inevitabile rimanere particolarmente colpiti da alcuni incontri, ed è proprio quello che mi è successo con un gruppo di donne attive da qualche anno nella trasformazione di cereali a Thiès.
Quando siamo arrivate, queste donne rumorose e vestite a festa ci hanno accolte con allegria: ci hanno fatto accomodare tra i macchinari per condurre l’intervista, eravamo davvero tante.
Da subito ci siamo accorte di non aver bisogno di un traduttore, quasi tutte parlavano francese: si è creata una certa sintonia, il clima era rilassato, la comunicazione diretta.
Ci hanno raccontato che lavorano insieme da anni nella trasformazione di cereali e di frutta. Hanno avviato la loro attività in un primo momento nella casa di una di loro, per poi trasferirsi nello spazio in cui ci trovavamo.
La loro micro impresa è cresciuta gradualmente grazie alla loro abilità nel cercare partner che potessero contribuire all’acquisto dei macchinari, e grazie alle formazioni cui hanno partecipato.
Quando facevamo domande di cui pensavamo di conoscere la risposta, con naturalezza ci dicevano tutt’altro: ad esempio che l’attività che considerano più importante non è quella più redditizia. Oltre alla trasformazione di cereali, questo gruppo si occupa di formazione. Le donne ci hanno raccontato che si conoscono da tempo, abitano tutte nello stesso quartiere della città e conoscono i problemi che colpiscono le famiglie, soprattutto quelle che vivono all’interno del mercato centrale. Dalle loro parole scopriamo che ci sono molte ragazze in quell’area che abbandonano gli studi prematuramente e che necessitano di un aiuto per evitare di cadere nella prostituzione.
Queste imprenditrici di Thiès hanno deciso quindi di mettere a disposizione la loro esperienza, la loro attività, la loro sede per aiutare le ragazze vulnerabili: hanno organizzato formazioni gratuite che permettano loro di imparare un mestiere e mantenersi. Le donne della micro impresa ce lo raccontano con orgoglio, facendoci capire che non lo considerano qualcosa di extra-ordinario, di raro.
“Semplicemente”, dicono loro, dispongono dei mezzi per aiutare e cos’altro dovrebbero fare, se non provare ad aiutare? Come è usanza dire in Senegal “On est ensemble“!
Con una logica disarmante ci hanno argomentato le loro scelte, e tra uno scherzo e l’altro abbiamo parlato di poligamia, di accesso alle scuole, della loro concezione dei rapporti tra uomo e donna.
Ancora una volta mi sono resa conto di quanto il concetto di “normalità” sia relativo e di quanto sia necessario rimettere in dubbio la mia concezione delle cose per rimanere aperta al dialogo e all’incontro: solo così penso di poter provare a conoscere un contesto completamente diverso da quello a cui sono abituata, una realtà che non riuscivo neanche a immaginare fino a poco tempo fa.