A trent’anni dal genocidio di Srebrenica
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Pellegrini in Bosnia Erzegovina, terra di incontro e di scontro tra religioni ed etnie

Dal 23 al 27 ottobre, 7 soci di CISV: Piera, Armando, Antonella, Federico, Emanuela, Paolo e Roberto, hanno partecipato, con altri amici della FOCSIV e di UCOI, al pellegrinaggio della memoria nei luoghi dei più importante genocidio della storia Europea dopo la seconda guerra mondiale. L’intensità di questa esperienza non si può facilmente comunicare in poche pagine di resoconto. Alcune veloci pennellate, degli incontri e dei luoghi visitati sono qui riportate nella speranza che possano, almeno in parte, permetterci di condividere la ricchezza affascinante e, al tempo stesso, dolorosa di questo viaggio.

A cura di Paolo Martella

Sarajevo: l’atmosfera turistica nelle viuzze ottomane, la memoria di 1425 giorni sotto il tiro dei cecchini sui muri dei palazzi

Camminiamo già dalla prima sera, e diverse volte nei giorni successivi, sulla via pedonale Ferhadija Sarači del quartiere ottomano. Qui ti puoi sfamare con pochi marchi bosniaci o euro (quasi tutti li prendono) con i Burek, rotolini di pasta fillo riempiti con carne, formaggio o verdure e fermarti a bere un caffè turco accompagnato dalle classiche gelatine al limone o all’arancia. E naturalmente trovi ogni sorta di artigianato, garantito come originale, e di borse, scarpe e portafogli, spergiurati in vera pelle, nei numerosi negozietti acchiappaturisti.

Ma con la luce del giorno vedi ancora, numerose, onnipresenti, le ferite della guerra sui muri dei palazzi, un tempo eleganti, della zona austriaca e sui condomini giganteschi anonimi e trascurati della zona socialista. Quasi tutti gli edifici, tranne quelli nuovi, presentano evidenti segni di colpi di artiglieria, frammenti di granate o proiettili. Sembra strano che a distanza di trent’anni non siano stati rifatti gli intonaci. Forse, come anche a casa nostra, è difficile mettere tutti d’accordo nelle assemblee di condominio quando la spesa da affrontare diventa ingente. Forse non c’è neppure la voglia di cancellare del tutto il monito che grida da quei muri.

(Le ferite della guerra sui muri)

Sono la memoria del terribile assedio in cui la città fu stretta dalle truppe dell’armata popolare jugoslava (JNA) e delle forze serbo bosniache (VRS), un assedio che durò dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996 per 1425 lunghissimi giorni. I cecchini erano appostati sulle colline tutto intorno alla città colpendo abitazioni, autoveicoli e civili. La gente si trovò a sopravvivere di stenti poiché presto vennero a mancare cibo, acqua, combustibili, elettricità. Daniele Socciarelli, di Ipsia, accompagnatore del gruppo insieme a Federica, ci fa rivivere la scommessa giornaliera per la vita che dovevano affrontare gli abitanti di Sarajevo nel correre lungo le trincee del viale dei Dragoni, tristemente ribattezzato viale dei cecchini, per riuscire a prendere un po’ di acqua alla fabbrica della birra collegata all’unica sorgente rimasta disponibile.

(tunnel di Sarajevo)

Di quel triste periodo è anche testimonianza indelebile il famoso tunnel scavato da squadre di volontari sotto la pista dell’aeroporto, lavorando indefessamente per 4 mesi e 4 giorni. Lo visitiamo poco prima del ritorno a casa ma è una visita che da sola vale il viaggio. Di lì entravano in città beni di prima necessità venduti al mercato nero e fuggivano coloro che tentavano la via del monte Igman, l’unica direzione intorno alla città non controllata dai cecchini e dai mezzi corazzati delle truppe serbo-bosniache. Di lì entravano le armi o meglio, per lo più canne di ferro e altri materiali che i gruppi della resistenza cittadina si ingegnavano a trasformare in armi rudimentali.

Le granate, 300 al giorno in media ma talvolta anche più di 1000 in una singola giornata, si spaccavano su strade e marciapiedi carbonizzando i punti di impatto e i frammenti saltavano tutti intorno colpendo persone ed edifici. Ancora oggi queste memorie della guerra sono indelebili, le parti di asfalto fuso sono state riempite di resina rossa creando l’effetto di petali sparsi sulla strada a ricordare gli oltre 12 mila abitanti morti. Sono le “rose” di Sarajevo “seminate da quelli che hanno versato il sangue e annaffiate dalle lacrime di parenti e amici”.

Il passeggio da turista, distratto e un po’ annoiato, non è consentito qui, guardando i colori del mercato Markalè dove due attacchi deliberatamente orditi per uccidere il maggior numero di cittadini, il 5 febbraio 1994 e il 28 agosto 1995, causarono la morte di 111 abitanti della città e il ferimento di altri 219. Furono stragi di cui parlarono a lungo anche i nostri giornali e telegiornali come ricorderà chi ha un po’ più di anni.

E come non concludere questo triste rosario di memorie dell’abiezione cui conduce la guerra con la visita alla ex biblioteca nazionale. Tra il 25 e il 26 agosto del 1992 l’edificio, colpito dai razzi serbo-bosniaci, fu devastato da un incendio dove andò distrutto quasi completamente un immenso patrimonio culturale: 2 milioni di libri furono inceneriti nel rogo e persero anche la vita diversi cittadini che cercavano disperatamente di portare in salvo qualche volume. Era stato un attacco simbolico per dimostrare il disprezzo verso un popolo a cui non solo non si riconosceva il diritto di esistere, ma neppure il diritto a una propria cultura e a una propria memoria. Ripensando a tutto ciò, i passi di sabato pomeriggio rimanevano pesanti, nonostante l’elegante architettura neo-moresca e le significative istallazioni museali del palazzo.

Tra queste la più toccante, dove realmente il cuore si stringe nel pensiero di tanti innocenti ingiustamente massacrati, è la sezione che ricorda il lavoro del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia (UCTY) con le testimonianze dei sopravvissuti, le storie degli eccidi di massa che hanno insanguinato il Paese e dei leader politico-militari condannati. Fra tutti Ratko Mladić e Radovan Karadžić (all’epoca presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina) condannati, in due momenti diversi, all’ergastolo e, rispettivamente, a 40 anni di reclusione. 

Ma a Sarajevo abbiamo anche vissuto nel modo più bello la comunione interreligiosa attraverso le visite, in poche centinaia di metri, alla chiesa ortodossa degli arcangeli Michele e Gabriele e al duomo del Sacro Cuore di Gesu e infine con la preghiera condivisa nella moschea di Ghazi Husrev-Bey. Qualche aneddoto sulla sacralità dell’ospitalità verso lo straniero, che è un obbligo coranico per l’Islam almeno per tre giorni, come ha ricordato l’imam, sono un bell’insegnamento che probabilmente pochi tra i maestri di pensiero del nostro dibattito pubblico hanno ben presente, anche negli schieramenti politici progressisti.

(Chiesa Ortodossa)

Nella prossima puntata continueremo a leggere del viaggio dellə sociə CISV in questi luoghi della memoria e della consapevolezza. A presto!

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