La musica hip hop per alimentare l’African Hope
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a cura di Virginia Marchisotta e Simone Amadori – Servizio Civile in Senegal

Leuz Diwane G è un’artista rapper senegalese da oltre 150mila follower su YouTube. Insieme al rapper italo –senegalese F.U.L.A e il producer italiano Frank Sativa ha prodotto la canzone Feneen* (Altrove, in wolof) che parla di frontiere, interne ed esterne, di un’identità mista e contaminata, della ricerca del proprio posto nel mondo.

In questa lunga intervista conosciamo Leuz che da anni promuove una visione del mondo che prova a rompere gli stereotipi con cui ancora troppo spesso si guarda all’Africa.

Ciao Leuz! Presentati per i soci, sostenitori e amici di CISV 

Mi chiamo Leuz Diwane G, artista rapper nato e cresciuto a Mbao, villaggio tradizionale di pescatori a pochi chilometri dalla capitale Dakar. Ma non mi identifico solo come un rapper, sono prima di tutto un attivista, un artista impegnato nelle tematiche sociali e alcuni dicono un rivoluzionario (ride).

Puoi parlarci della tua personale esperienza con la musica? Raccontaci cosa significa essere un artista rap e perchè pensi che questo tipo di musica svolga un ruolo così importante in Senegal.

Avvicinarsi alla musica in un villaggio come Mbao è stato un processo complesso e lungo perché non vi sono le stesse opportunità che a Dakar di essere influenzati da varie forme arte. Allo stesso tempo, per i giovani di Mbao è difficile accogliere positivamente la musica, e il rap è troppo spesso considerato un movimento legato alla delinquenza e troppo rivoluzionario. Mi sono avvicinato quindi alla musica guardando ad influenze esterne provenienti anche da città vicine a Mbao, che mi hanno permesso di apprendere molto sul rap. Ho avuto inoltre la fortuna di crescere con uno zio appassionato di moltissimi generi musicali diversi: grazie ai suoi insegnamenti e alla vasta collezione di album che aveva a disposizione in casa, ho potuto scoprire grandi artisti senegalesi e stranieri e nutrire così il mio amore per la musica in generale.

Rispetto ad altri movimenti hip hop nel mondo, l’hip hop senegalese cosa ha da imparare, e cosa invece può insegnare?  

L’hip hop senegalese è nato intorno alla fine degli anni ’80 e ha influenzato sin dal suo arrivo moltissimi giovani senegalesi che si sono identificati nel movimento. La musica rap voleva veicolare un messaggio di lotta e rivincita sociale. In Senegal lo chiamiamo rap “Galsen”, un genere che non è solo fatto di rime, beat, flow, ma che costituisce una filosofia e ideologia ben precise. Sicuramente l’influenza dei movimenti hip hop nel mondo è stata importante per l’elaborazione della nostra identità musicale, credo che sia importante continuare sempre ad apprendere e lasciare che i generi musicali si contaminino tra loro. Dagli Stati Uniti ad esempio, ho imparato come fare rap tecnicamente, come creare la melodia, come comporre il beat in maniera efficace; queste conoscenze le ho poi applicate alla società in cui vivo, all’esigenza comunicativa del mio Paese, che è fatto di sonorità differenti e di una ricchezza di una grande varietà di melodie molto diverse a seconda delle zone. Ogni comunità si identifica con le proprie sonorità, e il mio modo di fare hip hop deriva da un miscuglio di queste tradizioni musicali. E il senso di fare hip hop è proprio quello di essere sempre in movimento ma con intelligenza: hip è il sapere, hop il movimento creativo.

Leuz Diwane G con F.U.L.A e Frank Sativa

Avendo citato gli Stati Uniti, prendiamo spunto da questo per la prossima domanda. Nel documentario Feneen di cui sei protagonista, a un certo punto dici: “Basta sognare l’American Dream,  proviamo ad alimentare la speranza africana” [let’s feed the African Hope]. Cosa intendi precisamente? Come si può alimentare la speranza africana?

Questa frase in particolare faceva parte di una mia precedente canzone intitolata “Panne Africaine”, in cui affermo che molti aspetti dell’Africa hanno bisogno di essere sistemati e “aggiustati”. Il principio è applicabile anche nel contesto del documentario Feneen: bisogna essere fieri di chi si è, delle nostre origini africane. Prima di avvicinarci al sogno americano, dobbiamo ricordarci che l’Africa è sempre là, in attesa di aiuto e di speranza. Dobbiamo ricordarci da dove veniamo ed impegnarci a nutrire la speranza per un futuro migliore nel nostro Paese e continente. I giovani purtroppo non hanno più speranza, decidono di lasciare tutto per iniziare viaggi incerti in mare senza più avere l’idea che invece si può riuscire a rimanere in Senegal e costruire lì il nostro avvenire.

È necessario canalizzare le nostre energie per cercare di andare tutti insieme verso la costruzione di una Speranza Africana.

Rimaniamo sempre nella dimensione dello scambio. Quale pensi sia il valore dell’incontro con un producer italiano e un rapper italo-seneglaese che ha portato alla produzione a 6 mani della canzone Feneen? Come questo vostro scambio può contribuire a combattere gli stereotipi dell’Europa sull’Africa, e viceversa?

 L’esperienza di Feneen ha rafforzato la mia convinzione dell’importanza dello scambio culturale. Grazie anche al viaggio che ho potuto fare in Italia, ho incontrato pubblici e modi di pensare diversi. La musica è stata l’elemento connettore che ha riunito me, Frank Sativa, da F.U.L.A e che mi ha permesso di integrarmi e di imparare molto loro e dall’Italia. Durante la nostra collaborazione per Feneen abbiamo vissuto assieme, abbiamo condiviso spazi, idee, pensieri senza alcun tipo di limite: attraverso la musica, che stata il nostro linguaggio universale, abbiamo comunicato abbattendo ogni barriera di differenza culturale, ritrovandoci tutti con le stesse origini. Grazie al progetto MIGRA ho potuto comunicare con il pubblico italiano che non mi conosceva e che non parla la mia lingua, ma questo non era importante.

Nella canzone “Feneen” con F.U.L.A. canti “You got the snow, I got the sun, right? Together we must live it better, do we really need to fight?”. Ci puoi spiegare cosa significa davvero questa frase per te?

Il mondo è fatto per dare e ricevere. Dobbiamo tutti essere complementari, perché da soli non siamo completi, non siamo perfetti. Esistono necessariamente cose che possediamo, e altre invece che ci mancano.

In Africa, per dire che qualcosa ti fa piacere, diciamo in wolof “Sedd xol”, che fa freddo al cuore, mentre in Europa il detto è esattamente al contrario: in italiano qualcosa di piacevole “scalda il cuore”. Europa e Africa sono quindi complementari, ciò che manca da una parte, si trova dall’altra e viceversa.

Nel documentario “Feneen” si percepisce che il tuo attivismo si lega a molte tematiche diverse, tra cui l’ambiente. Cosa ti ha spinto verso questo impegno?

È stato un processo lungo. Durante il periodo in cui ero studente a Mbao, sono entrato in contatto con un’associazione di sostegno scolastico chiamata AEEM (Association des Eleves Étudiants de Mbao). Grazie a questa opportunità, mi sono avvicinato alla vita associativa. Qui a Mbao abbiamo contribuito a realizzare moltissime attività per la comunità e l’ambiente: ad esempio, ogni domenica ci raduniamo per raccogliere i rifiuti plastici all’interno del Marigot (zona paludosa che divide la zona di Petit Mbao dal villaggio tradizionale di pescatori) e sequestrarli con la realizzazione di eco mattoni usati nella costruzione di panchine e spazi ricreativi. Inoltre, portiamo avanti attività di gestione e miglioramento delle zone verdi, attraverso la piantumazione ricorrente di palme da cocco poco prima della stagione delle piogge.

Ascolta Feneen!

Feneen è stata prodotta all’interno del progetto MIGRA realizzato da CISV, insieme a LVIA e COSPE con il contributo di Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo – Ufficio di Dakar

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