«Per noi cittadini queste elezioni sono l’unico mezzo per contrastare e delegittimare la classe dirigente e i partiti politici che si sono resi colpevoli di corruzione e clientelismo, e hanno così favorito il precipitare del Mali nel caos e nella guerra civile. Il nostro paese sta rischiando molto più della credibilità in quanto Stato democratico; oggi la posta in gioco è la sua stessa unità e la sua sopravvivenza in quanto nazione». Questo il commento, che riassume gli umori della popolazione, di Kalilou Kone, veterinario della zona di Mopti da 3 anni impegnato nei progetti CISV di sviluppo e sicurezza alimentare.
La prima tornata elettorale si svolgerà domenica 28 luglio, ma se nessun candidato dovesse raggiungere il 50% è previsto il ballottaggio per l’11 agosto. Sono ben 27 i candidati in lizza, che promettono un po’ tutti le stesse cose: fine della situazione d’incertezza e delle tensioni interne, lotta alla corruzione, creazione di un esercito forte. La gente nutre molte aspettative per il voto, che spera possa ricondurre pace e stabilità nel paese: dopo il colpo di Stato e gli scontri armati che hanno insanguinato il Nord si sono infatti succeduti al potere una giunta militare, un governo di transizione guidato dall’ex presidente dell’Assemblea nazionale (che poche settimane fa ha dichiarato la fine dello stato d’emergenza, proprio per consentire le elezioni) e l’attuale presidente ad interim Dionkounda Traoré. Malgrado le aspettative, però, il panorama si mostra incerto, con una serie di intimidazioni e problemi organizzativi che minacciano il buon esito del voto. «Uno dei 27 candidati, Tiéblen Drame – che ha rappresentato lo Stato maliano nelle trattative tra Bamako e i tuareg culminate negli accordi di Ouagadougou – ha ritirato la sua candidatura per spingere la comunità internazionale a spostare la data delle elezioni consentendo una migliore organizzazione e trasparenza del voto», racconta Kalilou Kone.
La campagna elettorale si sta svolgendo all’insegna dei ritardi nella consegna delle schede di voto, molte delle quali devono ancora essere consegnate agli aventi diritto non solo in Mali ma anche nei paesi limitrofi (Burkina Faso, Mauritania e Niger) dove sono ospitati oltre 170.000 rifugiati. A una settimana dal voto, erano ancora 2 milioni le schede non consegnate. Il problema è aggravato adesso dalla stagione delle piogge che, combinandosi con il Ramadan, crea altri ostacoli alla mobilità sul territorio mettendo a rischio la partecipazione pubblica al voto, che tradizionalmente non supera in questo paese l’affluenza del 40%.
Tra le paure per le elezioni c’è poi il rischio di dispersione dei voti, per il numero elevato di candidati, e il timore di rivolte che potrebbero scoppiare durante il voto e dopo i risultati. «Queste preoccupazioni sembrano confermate dai recenti episodi di Kidal», conferma Kalilou Kone, riferendosi alle recenti violenze intercomunitarie che hanno mietuto 4 vittime e al rapimento, il 20 luglio scorso, di 4 funzionari e del sindaco intenti a distribuire le schede elettorali a 250 km da Kidal. «Malgrado la rapida liberazione degli ostaggi, avvenuta l’indomani, questo episodio suona come un chiaro avvertimento per le autorità di Bamako. Potrebbe essere il segno precursore di altre violenze e altri scontri».
Anche il Segretario dell’Onu Ban Ki-moon ha espresso preoccupazione per la situazione in Mali, dichiarando «fondamentale che il voto sia credibile e pacifico, con risultati accettati da tutti i cittadini». Se così non fosse, invece di un governo legittimo in grado di affrontare le difficili questioni che affliggono il paese, si assisterebbe a un aumento del malcontento popolare e al rischio di nuovi spargimenti di sangue.
La ripresa del Mali, già piegato dalle condizioni climatiche e dagli ultimi mesi di aspri conflitti, non può che passare adesso dalla stabilità politica, da una gestione democratica e trasparente, dalla garanzia che siano sostenuti i settori più vitali dell’economia, agricoltura e allevamento. Se il nuovo contesto saprà favorire la partecipazione reale della popolazione, nelle città come nei villaggi più sperduti, ci sarà un ambiente più propizio anche agli interventi delle ong che, come CISV, lavorano per garantire il diritto al cibo e a uno sviluppo realmente sostenibile.