La matematica non è un opinione, l’intercultura sì

di Marta Buzzatti

2100 chili di riso, divisi in scatoloni da 10 chili, fanno 210 scatoloni totali, diviso 7 persone, fanno 30 giri a testa, ogni volta con 10 chili in braccio, avanti e indietro dal camion al magazzino, che dista dal camion circa 500 metri, ricoperti da 5 cm di neve bagnata e acqua grondante: 2 ore di lavoro. Matematico.
Il camion è enorme, nel cassone i bancali non hanno retto agli scossoni, gli scatoloni si sono in parte adagiati sul fianco. E’ parcheggiato davanti ad un locale di scommesse che è anche bar. Insegna sgangherata, poche luci, ma non appena le serrande cigolano verso l’alto ecco un gran via vai di uomini sfaccendati che ci osservano.
Le operazioni di scarico sono complesse. La neve del giorno prima ha reso le strade un pantano, se cade uno scatolone si impregna di acqua e noi vediamo sciogliersi e sparire 5 €. Sì perché, continuando con la matematica, ogni pacco corrisponde a una donazione di 5 €, ma un pacco rotto e bagnato fa -5 €, in sottrazione.
Siamo concitati e concentrati: dobbiamo fare in fretta, il camion avrebbe dovuto ripartire subito, uno scarico e via verso altre consegne, invece l’autista è imbrigliato anche lui in operazioni complesse. Siamo tanti, ma pochi, i nostri numeri non sono mai abbastanza. Ci muoviamo in fretta, goffi per la neve scivolosa, per i chili di troppo – quelli del riso, cosa avete pensato? – per i passanti da schivare, impacciati per le scale da fare, il sottoscala da superare senza sbattere la testa e finalmente il locale sotterraneo in cui custodiremo al buio il nostro riso.
“Cosa fate?”, è lo sfaccendato 1 che parla e mi guarda, lì accanto al camion, dove da almeno un’ora stiamo armeggiando come una squadra di Formula Uno ai box. “Scarico e immagazzinamento!” rispondo e, colta da inusuale ardimento, aggiungo, un po’ per scherzo un po’ sul serio, speranzosa, “Anzi, se ci aiutate, facciamo prima”, ma già lo sfaccendato 2 stava sbirciando i pacchi che avevo impilato vicino alla porta del locale scommesse ad asciugare: “Aiuti umanitari…” sento dire con diffidenza, mi volto e, accertandosi che lo stessi ascoltando davvero, aggiunge “Negri! Chi vuoi che te lo compri, con una faccia nera così?”. Già perché dal pacco di riso ci sorride una ragazza senegalese, è una produttrice di riso e l’abbiamo scelta come volto della nostra campagna. Resto muta a guardarli sfaccendato 1 e sfaccendato 2, che si danno manforte con sorrisi e ammiccamenti finendo di fumare e schiacciando il mozzicone in terra compiaciuti. Prima di rientrare nell’antro della fortuna, dove i numeri li sopraffaranno, mi danno un’ultima occhiata e ci tengono a sottolineare a mio beneficio “Noi qui, siamo tutti razzisti”.

Faccio un lavoro duro, raccolgo fondi per le cause perse, quelle che non interessano a nessuno, lo faccio parlando a persone che non mi ascoltano e, lo sento, a volte mi disprezzano. Io infastidisco. Spesso mi sento frustrata, sempre più spesso non so perché continuo. Me lo hanno ricordato sfaccendato 1 e sfaccendato 2: faccio questo lavoro perché c’è ancora gente che si sente orgogliosa di essere razzista.
Una battuta razzista loro, 1 kg di riso venduto io, un commento di disprezzo per il colore della pelle loro e una richiesta di donazione io. 1 a 2100 per ora, e non mollo. Vinco io, con la matematica e l’intercultura.