di Serena Carta
Il ritorno è una tappa dell’esperienza migratoria che richiede uno sforzo e una capacità di adattabilità comparabile a quella dell’installazione in un paese straniero. Chi torna e non riesce a trovare il suo posto nella società da cui era fuggito corre il rischio di rimanere bloccato in una situazione di marginalità e di non vedere altra possibilità che intraprendere di nuovo la strada (apparentemente più facile) dell’emigrazione irregolare. Accompagnare, orientare e sostenere il reinserimento dei migranti di ritorno sia dal punto di vista economico che psicosociale è una delle priorità di MIGRA – Migrazioni, Impiego, Giovani, Resilienza, Auto-impresa, un progetto finanziato da AICS, di cui CISV è partner insieme a COSPE ed LVIA in Senegal, Guinea e Guinea Bissau.
In tutto il mondo ci sono uomini e donne che, dopo decenni di vita all’estero, decidono di rientrare nel proprio paese di origine e investire risparmi e competenze in un nuovo progetto di vita, spesso imprenditoriale. Vedono nel rientro la possibilità di realizzarsi pienamente, finalmente ricongiunti alla propria famiglia; sono determinati nel voler creare valore e impatto sia sociale che economico; scommettono sulla patria e i suoi abitanti e diventano pionieri del cambiamento. Questi sono i migranti di ritorno che hanno chiuso il cerchio, che “ce l’hanno fatta”, che rappresentano le storie di successo che a volte trovano spazio anche sui giornali. Ma le cose non vanno così per tutti.
In Africa occidentale, chi è costretto a tornare a casa perché respinto alla frontiera oppure per sfuggire alla disoccupazione, alla povertà, alle ingiustizie di un’Europa poco accogliente è considerato un fallito e un debole. Questo succede soprattutto laddove, come in Guinea, esiste una tradizione popolare che vede nel viaggio – e quindi nella migrazione – la possibilità di migliorare le condizioni di vita della propria comunità. Chi va via, insomma, parte con un carico di aspettative da soddisfare; e chi non ce la fa è causa di delusione.
Le zone di intervento del progetto MIGRA tra Senegal, Guinea e Guinea Bissau sono territori caratterizzati da un’alta presenza di migranti di ritorno in situazione di vulnerabilità: persone spesso analfabete e senza impiego fisso, rientrate da paesi di transito o dall’Europa con programmi di RVA (Rimpatrio Volontario Assistito), rimpatri forzati oppure spontaneamente perché si sono ritrovati in una estrema precarietà socio-economica senza riuscire a proseguire il percorso migratorio. La loro fragilità nasce, principalmente, dalla difficoltà di ritrovare il proprio posto in patria, cioè di reinserirsi nel contesto familiare, comunitario e lavorativo da cui sono scappati. Molti hanno perso legami e contatti, non hanno avuto modo di pianificare il rientro e si trovano senza risparmi né mezzi per avviare attività. Può inoltre capitare che siano al centro di critiche e pregiudizi e che vivano forti sensi di colpa e di vergogna. Finiscono così ai margini della società, con problemi sia economici che psicologici, bloccati in un circolo vizioso di disagio che può essere interrotto soltanto agendo contemporaneamente sulle due dimensioni.
Ed è qui che si inserisce la proposta innovativa di MIGRA, che ai migranti di ritorno che vivono nelle regioni di Ziguinchor (Senegal), Labé (Guinea) e São Domingo (Guinea Bissau) offre non solo un percorso di orientamento e formazione alla microimpresa per raggiungere l’indipendenza economica, ma anche un servizio di sostegno psicosociale.
Facendo squadra con Davide Giannica e Aurélie Maurin Souvignet, psicologi del laboratorio Erasme dell’Università Paris 13-Sorbonne-Cité, da anni impegnati nello studio del fenomeno migratorio di ritorno ed esperti di dinamiche di gruppo transculturali, è stato avviato un lavoro sul tema dei migranti di ritorno che prevede tre pilastri: il rafforzamento delle competenze delle organizzazioni che già si occupano dell’orientamento e del sostegno di queste persone, la creazione di una rete di mutuo-aiuto e la raccolta di dati specifici sul fenomeno, in particolare sui fattori soggettivi e sociali che ostacolano i percorsi di reinserimento dei migranti che rientrano nei paesi di origine.
L’idea alla base della sinergia con i ricercatori di Parigi è quella di costruire insieme agli operatori locali appartenenti a enti pubblici o del privato sociale – assistenti sociali, sociologi, psicologi, medici di campagna e animatori di comunità – una cassetta degli attrezzi contenente competenze e approcci per facilitare il processo di reinserimento di chi torna e si trova in una situazione di estrema fragilità. Una volta formati, gli operatori si attivano su due servizi: uno di tipo individuale, che prevede una serie di colloqui con professionisti dell’ascolto, e l’altro collettivo, attraverso l’organizzazione di gruppi di mutuo-aiuto nei quali i partecipanti potranno raccontare le loro storie, condividere disagi ed emozioni e intraprendere così un percorso di rielaborazione dell’esperienza migratoria, di superamento del trauma e di riscoperta e riattivazione delle risorse interne da usare verso un miglioramento di vita.
I gruppi di mutuo-aiuto sono in partenza nel mese di febbraio all’interno del Centro culturale di Ziguinchor, del Museo di Fouta a Labé e del Centro culturale di São Domingo. Luoghi scelti perché già molto frequentati, al centro di incontri e scambi tra la popolazione, sede di eventi culturali e artistici. I partecipanti, una sessantina in tutto, saranno invitati attraverso degli atelier creativi a dare nuova forma alle parole, alle riflessioni e alle esperienze scambiate nei gruppi di mutuo-aiuto. Ecco allora che teatro, arte plastica e radio saranno alcune delle discipline con cui le storie dei migranti di ritorno verranno condivise e restituite al resto della comunità.
Foto di Federico Rivara
Le canoe sulla spiaggia di Thiaroye-sur-Mer, un piccolo villaggio di pescatori nella periferia di Dakar. Qui ha inizio il viaggio di tanti giovani senegalesi verso le isole Canarie, alla ricerca di una vita migliore.