Impressioni di una missione in Senegal in tempo di Covid
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di Elisa Viale, servizio civile CISV in Italia

Dopo più di un anno senza poter partire per le missioni nei Paesi in cui lavoriamo, finalmente una di noi parte. Tante emozioni contrastanti, così forti che abbiamo pensato di raccontarle.

Quanto è cambiato viaggiare in tempo di Covid? Come ti sei sentita a viaggiare dopo tanto tempo? Come è stato il tuo soggiorno a Dakar?
Queste sono state alcune delle domande, a cui Sara, responsabile Senegal di CISV, ha risposto in merito alla sua missione, che l’ha vista impegnata per due settimane a Dakar, in Senegal.

La prima immagine che Sara evoca è quella di una Milano Malpensa quasi completamente deserta: pochi voli in partenza e in arrivo, pochi passeggeri e norme di distanziamento e di sicurezza rispettate e diligentemente osservate dal personale. Un panorama irreale e impressionante, ma che riflette perfettamente la realtà attuale: pochissima gente sta viaggiando. “Malpensa e Charle de Gaulle vuoti o quasi: uno se lo immagina che gli aeroporti siano poco affollati, ma vederlo ti dà il senso di quanto stiamo vivendo”, scrive Sara sul suo profilo Facebook.

Sara ci racconta dei controlli e dei permessi aggiuntivi necessari per poter viaggiare in un altro continente: le frontiere senegalesi sono ancora chiuse e i viaggi dall’Europa sono bloccati da un anno a questa parte. Solo i residenti o coloro che hanno una comprovata necessità di lavoro possono ricevere un permesso speciale dall’ambasciata senegalese per poter entrare nel Paese.

Questa incombenza burocratica si aggiunge alla necessità di aver effettuato entro 72 ore prima del volo un tampone molecolare, sia per il viaggio di andata che per quello di ritorno. Per Sara, quest’obbligo è stato utile per dissipare le sue preoccupazioni: “Dal punto di vista della sicurezza, ero un po’ preoccupata […]. Però alla fine viaggiare non si è rivelato così pericoloso, c’è bisogno del tampone molecolare, altrimenti non puoi salire sull’aereo. Questo ti dà sicuramente più sicurezza di non contrarre il virus. Anche in aeroporto in Senegal sono stati molto organizzati ed efficienti, tutto è filato liscio”.

Una volta arrivata, Sara sottolinea un’osservanza diligente delle norme di sicurezza da parte delle persone, non solo all’interno dell’aeroporto, ma anche per le strade e nella vita quotidiana: indossano le mascherine anche all’aperto e rispettano il distanziamento. Inoltre, con l’arrivo della bella stagione e del caldo i casi conclamati sembra stiano notevolmente diminuendo, mentre nei mesi di dicembre e gennaio il numero dei positivi era aumentato.

In linea generale, l’impressione è che il governo senegalese abbia gestito bene l’emergenza sanitaria: fin dall’inizio è stato istituito il coprifuoco, chiuso le frontiere e bloccato gli spostamenti tra regioni. È notevole, inoltre, il tracciamento dei contagi che è stato attuato, congiuntamente alla campagna vaccinale, iniziata da poco.

Nonostante la buona gestione dell’emergenza, Sara ci racconta del clima di tensione politica, ma soprattutto economica che si percepisce in Senegal e in particolare a Dakar: il blocco degli spostamenti tra regioni ha causato disoccupazione, nuove povertà e situazioni di disagio economico, in particolar modo per coloro che vivono all’interno del sistema di economia informale, piuttosto diffuso nel Paese.

Sara ci riporta esempi positivi e virtuosi nonostante il momento difficile, direttamente dalla periferia di Dakar: un’oasi verde di 10 ettari è stata salvaguardata dal fenomeno dell’urbanizzazione selvaggia, grazie al progetto ECOPAS, che CISV sta realizzando nella zona con l’aiuto della società civile, delle associazioni del territorio e delle imprese locali. Questo terreno comunale è stato trasformato da un’associazione di orticoltori del luogo in un orto, in cui coltivare cipolle, barbabietole e altri ortaggi.

Nonostante le pressioni da parte di chi in questo territorio vorrebbe costruire e cementificare, questa associazione resiste, non solo per una questione di tutela ambientale, ma anche perché l’orto rappresenta una fonte di reddito importante per la comunità. Si tratta di una vera e propria oasi verde, protetta dal vento e dall’erosione da una lunga banda di alberi. È un’immagine curiosa e impressionante, perché convivono contemporaneamente la metropoli con i suoi palazzoni e la parte rurale del Paese con coltivazioni tipiche e attività agricole di ogni tipo. Un bel connubio se gestito in maniera adeguata, sostenibile e soprattutto voluto da chi in queste aree ci vive. Purtroppo, non sempre è così, ma il risultato di questo progetto fa ben sperare.

La missione di Sara, nonostante i problemi legati al viaggio, alla pandemia e alle tensioni locali, ha rappresentato per noi di CISV e per i partner locali un simbolo di ripartenza e di rinascita: “viaggiare è diventato faticoso e fonte di preoccupazione, manca la spensieratezza e la gioia che si portava dietro un viaggio di per sé: controlli, tamponi, mascherine, ansia. Ma nonostante tutto sono felice di averlo fatto. Con le dovute precauzioni, dobbiamo ricominciare a viaggiare e incontrarci. Abbiamo tutti bisogno di relazionarci, di non sentirci abbandonati perché in questo periodo di incertezze solo una cosa è certa: non ci si salva da soli. Apprezzo molto il lavoro di chi nonostante tutto sia rimasto sul campo e pratica la vera resilienza”.

Sara è rientrata. Di nuovo tamponi, protezioni, file distanziate in aeroporto, preoccupazioni, ma anche una bella sensazione di avercela fatta, di aver vinto blocchi e paure personali e sociali. Ora osserva con diligenza il periodo di isolamento fiduciario a casa, ma nel cuore porta una certezza in più: i confini si possono attraversare, con prudenza e rispetto delle regole, e il coraggio di essere umani è l’appiglio cui tutti e tutte possiamo aggrapparci per superare questo periodo così difficile.

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