L’impressione è che Haiti sia tornata indietro nel tempo. Rispetto a 18 anni fa non ci sono grandi miglioramenti. In mezzo c’è stata una mezza rivoluzione e un devastante terremoto.
Dal terremoto sembra quasi che si siano rialzati, tornando però al punto di partenza. Non è stata colta nessuna opportunità che questa enorme disgrazia ha potuto eventualmente offrire. Forse la polizia oggi è leggermente più brillante nel dirigere il traffico. Dopo tutti questi anni di “addestramento” da parte di Usa e Onu.
La corruzione è aumentata. Strano pensare che fosse possibile, ma è così, anche perché sono aumentati i soldi che sono arrivati e stanno arrivando nel paese. I diritti umani sono minacciati, alcuni come mai negli ultimi 20 anni. Si registra una regressione.
La vera novità è che al governo c’è la destra più bieca: ci sono i duvalieristi, i makut.
Alcuni ministri sono ex militari e già collaboratori di Duvalier. Quindi se prima (fino al 2010) chi “mangiava” erano settori più vicini ai movimenti sociali, comunque assimilabili a una sinistra (René Préval e i suoi), oggi chi mangia sono una nuova-vecchia classe politica, nuovi personaggi della destra populista e vecchi duvalieristi (macoute).
E la posta in gioco è grossa, perché grandi sono le opere che si realizzano. Aeroporti (Okay, Okap), zona industriale Caracol, ristrutturazione di Jacmel (compreso Molecon, mercato di ferro, ecc.), lo stadio Sylvio Kator. Quindi in percentuale, si mangia di più.
La sicurezza non è garantita. La circolazione stradale può essere devastante. I terremotati sono stati “sloggiati” dalle tendopoli e le piazze (Champ de Mars, place St. Pierre, ecc. e i campi da calcio sono stati “ripuliti”. Ma questo anche con violenza, cacciando la gente, senza ricollocarla. Enormi sono gli agglomerati che si stanno formando in uscita dalla capitale, verso Nord. Grandi riserve di mano d’opera a basso costo. Non si è favorito un ritorno alle campagne né un’installazione nelle città minori. Non si è puntato sul decentramento di servizi, scuole, università, strutture sanitarie. Quello che si vuole fare sono le zone franche (parchi industriali): il vecchio progetto di far diventare Haiti un serbatoio di forza lavoro a basso costo (il più basso delle Americhe), con la ricostruzione è tornato alla ribalta. Ora ci sono i soldi per farle.
La gente ad Haiti, in città ma non solo, mi è sembrata in generale più arrabbiata, meno allegra di un tempo. Una sorta di fine della speranza nel futuro, anche quella del «si bondie vlè», se Dio vuole. Tutti dicono che i giovani, soprattutto se hanno studiato un po’, cercano di andarsene. Non è una novità. Molti lo hanno già fatto, anche subito dopo il terremoto, grazie ad agevolazioni offerte da alcuni paesi, come il Canada, che ha drenato cervelli di Haiti a tutto andare, con la scusa di offrire loro un’opportunità.
I movimenti sociali sembrano addormentati. Il movimento femminista ha subito un duro colpo, con le tre perdite eccellenti, e sembra non riesca a reagire. Il movimento contadino? Mpp organizza manifestazioni. Ha celebrato i suoi 40 anni con un congresso. Ma nella pratica? Tèt Kole ti Paysan dov’è finito?
A batay ouvrye dicono che stanno riorganizzandosi. Vogliono prepararsi nei prossimi due anni, in previsione di una grande confrontazione sociale che si dovrebbe avere prima dello scadere del mandato di Martelli (maggio 2016) e per le elezioni (dicembre 2015).
Sembra incredibile ma ho avuto un’impressione generale molto più pessimistica di quella respirata nel viaggio del 2010, pochi mesi dopo il terremoto. In quel momento c’era volontà di rinascita e speranza di cambiamento. Ma tutto è continuato come prima. Anzi peggio.
Marco Bello, desk CISV per Haiti