GUATEMALA, I COLORI CONTRO LA VIOLENZA

di Clelia Campagnoli

Quando mi è stato chiesto di scrivere un testo per la festa della donna non pensavo di poterlo fare, almeno non in maniera consona per rendere giustizia alla giornata e soprattutto al lavoro delle donne della Defensoría de la Mujer I’x cui assisto giornalmente a Nebaj, Guatemala nord-occidentale.

Per noi volontarie espatriate, o almeno per me, è difficile descrivere cosa stiamo vivendo a chi è rimasto in Italia, come la famiglia, che domanda più di quello che so spiegare; a volte ancora non mi rendo conto di essere dove sono, di tutte le cose che sto imparando e dell’incredibile varietà umana che prima di arrivare qui solo potevo immaginare, come fosse un’intuizione che ora si è trasformata in qualcosa di tangibile ed estremamente colorato. Insomma non mi sentivo affatto in grado di poter rispondere all’appello ma oggi, 25 febbraio, giornata della dignità delle vittime del conflitto armato, abbiamo partecipato a una camminata per commemorare le vittime e a una cerimonia Maya, e l’atmosfera era carica di dolore ma allo stesso tempo di desiderio di rivendicazione, era carica di ritmo, di musica, di fermezza davanti al futuro. E mi è venuta voglia di raccontarlo.

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Le compagne della Defensoría della Mujer I’x (casa d’accoglienza e assistenza psicologica/legale per le vittime di violenze familiari, ndr) erano in prima linea con la batukada (insieme di percussioni che suonano ritmi di contaminazione africana, in particolare sottostile del samba, tipica in Brasile e nel Nord della Spagna) che ormai è un’istituzione, perché loro riescono a rendere tutto semplice, anche la manifestazione del dolore, trasformandola in energia e usando sorrisi invece di lacrime, musica invece di violenza e pazienza invece di impulsività. E questa non è certo una conquista a cui si arriva senza sofferenza, è una lotta interna ed esterna giornaliera, in quanto donne, in quanto Maya, in quanto madri, in quanto lavoratrici, in quanto mille donne in una.

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Oggi l’aria era carica di dolore ma anche di energia, di determinazione, tutto era incredibilmente chiaro e nitido nonostante il grigio di questo febbraio atipico a Nebaj. “El pueblo unido jamás será vencido” acquista per me ancora più significato dopo oggi. Eravamo un piccolo corteo di colori, striscioni, slogan e tamburi ma compatti, stretti, e così determinati a non farci distrarre dalle interferenze che nessuno si è mosso quando i microbus hanno iniziato a suonare insistentemente il clacson per farci spostare. Nessuno si è fatto da parte per lasciarli passare, per tre quarti d’ora la strada è stata nostra e nulla avrebbe potuto rompere la concentrazione, il raccoglimento e il ritmo dei tamburi. E ci si sente parte di tutto questo; nel mio caso lo vivo in quanto giovane donna in cerca del suo cammino, in quanto essere umano e in quanto cittadina del mondo. Le compas, dopo qualche iniziale resistenza nei giorni pregressi allo svolgimento della marcia (per la lunghezza del percorso e il peso degli strumenti), hanno dato tutte se stesse nella batukada, le guardavo e mi sentivo pervadere dall’orgoglio, orgoglio di genere, orgoglio per queste donne che non smettono di sorprendermi, che conquistano con i loro sorrisi e l’ironia.

Spero di aver saputo trasmettere anche se in minima parte quello che vedono i miei occhi. L’8 marzo saremo con voi camminando, nonostante la distanza e il fuso orario.
Un grazie da Nebaj a Torino, da montagne a montagne, da donne a donne, per il sostegno e la partecipazione.