LE IMMAGINI DELLA COOPERAZIONE: COSA NE PENSANO I PROFESSIONISTI?

Intervista di Arjuna Decaro e Gaia Bacin, volontari CISV in Servizio Civile
Fotografie di Stefano Fasano, volontario CISV in Servizio Civile

Come si documenta un progetto di cooperazione? Come rappresentare gli aspetti più autentici del lavoro sul campo e della vita di chi ne beneficia? Ne abbiamo parlato con Pietro Luzzati, video editor professionista e motion graphic, e Andrea Borgarello, fotografo freelance che documenta temi sociali e antropologici per giornali italiani e internazionali, di ritorno da due settimane di missione in Senegal passate a documentare visivamente il lavoro delle micro imprese rurali beneficiarie del progetto PAISIM. Dopo averne incontrate quasi 50, tra le tre regioni del progetto, ci siamo fatti raccontare le loro impressioni, le storie che hanno visto e l’obiettivo del loro lavoro.

 

1. Che ruolo hanno due professionisti dell’immagine in questi contesti, quando chiunque con uno smartphone può scattare una foto in buona qualità?

ANDREA: In realtà il compito di un professionista dell’immagine non è tanto quello di rappresentare graficamente una situazione esistente, quanto di interpretarla. In altre parole, l’idea che sta alla base di chi usa la fotografia in modo professionale è quella di sfruttarla per raccontare una storia, senza limitarsi a “descrivere” l’evento. In fondo, credo sia anche un po’ il motivo per cui continuo a trovare lavoro con varie istituzioni che lavorano in questo campo, nonostante i mezzi tecnologici siano ormai diffusissimi. Poi, bisogna anche dire che non è tanto il mezzo che si utilizza che fa la differenza, quanto il modo in cui lo si fa: il vero segreto della rappresentazione visuale di una qualsiasi situazione è cercare di mostrarla come una storia, che potrà essere vissuta dallo spettatore.

PIETRO: Lavoro come videomaker da quasi 20 anni ed ho avuto la fortuna di conoscere l’Africa ed il mondo della cooperazione fin da quando ero bambino ancor prima di decidere di fare questo mestiere. Per me lavorare nella cooperazione significa avere tanta passione e spirito di adattamento, non basta solo saper usare una videocamera e fare buone immagini: per documentare questo mondo è necessario conoscerlo e sapersi muovere al suo interno rispettando le tradizioni e la cultura locale. Bisogna infine essere in grado di raccontare una storia che sia comprensibile anche ai non addetti ai lavori.

2. Qual è l’impatto che cerchi, o quantomeno vorresti suscitare attraverso il tuo lavoro in questi contesti?

ANDREA: Diciamo che la pretesa che probabilmente ogni fotografo ha è quella di rappresentare la situazione che si trova davanti nel modo più fedele possibile. Poi naturalmente mettere in pratica questi principi è tutt’altro che semplice, e il fotografo stesso ha un suo modo di vedere le cose, e quindi interpreta in qualche modo le situazioni che vede. La cosa a cui tuttavia tengo tantissimo è il non falsificare mai la realtà. In altre parole, cerco di non dare un’immagine di un tipo o di un altro, selezionandole, solamente perché mi viene richiesto. Certo, non è fotogiornalismo, ma comunque si tratta di un tipo di lavoro commissionato, che ha certe regole e richieste da soddisfare. Ad ogni modo, rimane il fatto che le immagini debbano essere caratterizzate da un alto grado di genuinità e verità esistente nella storia che vanno a raccontare.

PIETRO: Cerco di documentare i progetti usando un linguaggio semplice e alla portata di tutti mostrando il quotidiano della vita contadina in Senegal attraverso i suoi protagonisti e le loro parole cercando di catturare con le immagini le loro emozioni. Quando realizzo un video cerco di andare oltre gli stereotipi con cui normalmente si pensa all’Africa perché video e fotografie sono uno strumento importante per sensibilizzare le persone sulla realtà africana.

3. Qual è la storia che avete visto in questa missione, da rappresentare con le vostre immagini?

ANDREA: La possibilità più evidente è stata quella di vedere le storie di persone che vivono veramente di attività agricole, che credono in quello che fanno, e ci mettono il massimo dell’impegno per farle funzionare, per cui abbiamo cercato di restituire un’idea di dinamismo abbastanza spiccato nelle immagini che abbiamo prodotto. Un tentativo di queste persone, diciamo, di uscire a volte anche da una situazione di stallo, provando ad aprire alcune attività per poter cambiare loro la vita. Spero che le immagini riescano a rappresentare con dignità le situazioni che abbiamo incontrato, a volte di intensa povertà, e a restituire la grande forza interiore delle persone che abbiamo incontrato.

PIETRO: Quasi tutti i micro imprenditori che abbiamo visitato ci hanno illustrato il loro lavoro e raccontato il loro quotidiano. Mi hanno colpito in particolare, ed è questa la storia che ho cercato di raccontare, i loro racconti di impegno nel sociale. Questa solidarietà tra le persone, che è molto comune in Africa, dovrebbe essere di esempio per tutti noi .

 

4. Qual è stata la percezione del vostro lavoro da parte dei beneficiari del progetto? Hanno consapevolezza di quanto voi fate per raccontare la loro storia?

ANDREA: Io credo che le persone che abbiamo incontrato fossero in qualche modo orgogliose del loro operato, e quindi anche contente di poterlo raccontare e mostrare, anche vedendo visivamente rappresentate in fotografia. Credo però anche che una buona parte di questo risultato sia dovuta a CISV, e alle sue capacità dovute alla ormai lunga presenza sul territorio. Nel complesso credo i beneficiari avessero sostanzialmente la consapevolezza che fossimo lì per raccontare la loro storia.

PIETRO: Credo sia sempre importante, prima di tirare fuori la telecamera, presentarsi e spiegare il motivo della visita questo aiuta le persone a capire, a sciogliersi e ad affrontare le riprese con più serenità. A volte però questo non basta: mi ricordo in particolare una signora che sapendo che saremmo arrivati aveva messo il suo abito migliore, ma noi avevamo bisogno di immagini di lavoro nei campi e lei non era felicissima della cosa perciò con lei abbiamo preferito fare un’intervista.

5. Che impatto pensi possa avere un progetto come PAISIM nel medio-lungo periodo?

ANDREA: Mi è difficile valutare questo tipo di impatto. Certo, sono ormai tanti anni che vedo progetti, e certe volte mi viene da chiedermi se hanno o avranno veramente un impatto nel futuro. In questo caso abbiamo visto un numero di imprese importante, quasi 40, e devo dire che nel complesso sono quasi tutte storie di successo, quindi mi viene da immaginare che l’impatto possa essere tutto sommato positivo. La stessa idea di cooperativa di aggregazione ha poi sicuramente un valore anche per contrastare l’espansione delle grandi multinazionali.

PIETRO: Non sono un tecnico della cooperazione, ma credo che in un’ottica di crescita personale e di impatto sociale sulle comunità sia importante per gli agricoltori prendere coscienza di essere dei micro imprenditori.

 

6. Sono tanti anni che ormai collaborate documentando progetti di cooperazione: cosa vi ha lasciato questa missione?

ANDREA: La missione è andata molto bene in realtà, con Pietro ci siamo “trovati” rapidamente, e con un buon equilibrio. L’organizzazione, poi, ha fatto il suo: il fatto che i beneficiari fossero informati del nostro arrivo ha notevolmente agevolato il nostro lavoro. Faccio questo lavoro da tanti anni, e spesso mi capita di arrivare in posti dove nessuno sa nulla di me e della mia presenza. Questo, se da un lato effettivamente aggiunge spontaneità, dall’altro spesso complica di parecchio il lavoro di “reporting”, perché spesso non si riescono ad avere le situazioni che si cerca di rappresentare. In questo caso invece, anche grazie ad un buon lavoro organizzativo, siamo riusciti ad accedere a quasi tutte le situazioni che cercavamo.

PIETRO: Conosco Andrea ed il suo lavoro da alcuni anni, ma è la prima volta che collaboriamo attivamente insieme. È stata una missione intensa in cui mi ha colpito vedere le differenze tra le diverse micro imprese rurali: ogni zona ha le sue particolarità e differenze. Nella Regione di Thies mi ha colpito il livello di professionalità delle imprese, in quella di Saint Louis ho apprezzato lo spirito comunitario dei contadini, in particolare a Ronkh. Nella Regione di Louga abbiamo poi incontrato alcuni micro imprenditori che erano stati in Europa e con loro abbiamo avuto interessanti scambi sul tema delle migrazioni e sulla realtà lavorativa del Senegal. Dopo più di 15 anni dalla mia prima visita nel paese mi colpisce sempre molto vedere la velocità con cui il paese cresce e si modernizza.

 

 

Cogliamo l’occasione per ringraziare Pietro e Andrea e aspettiamo con entusiasmo le loro foto ed i loro video.