“E’ difficile prevedere che seguito possano avere le rivoluzioni. Le conseguenze della primavera araba sono ancora in divenire, e ci vorranno anni per capire la vera portata della rivoluzione tunisina o quella egiziana. Ci vorrà sicuramente anche del tempo per comprendere a fondo le conseguenze della rivoluzione burkinabé che, per le dimensioni della folla che l’ha accompagnata e per il peso che aveva Blaise Compaoré in Africa (oltre che nelle cancellerie occidentali), sembra destinata ad aprire la strada ad altri movimenti popolari di rilievo in Africa Subsahariana.
Ho avuto il privilegio e la fortuna di assistere ad alcuni momenti di questa rivoluzione dal basso che è avvenuta in Burkina Faso in questi ultimi giorni. In missione a Bruxelles per una conferenza, ritorno a Ouagadougou mercoledì 29 ottobre sera, verso la mezzanotte. Il nostro autista mi viene a cercare all’aeroporto con la sua Toyota mini (per motivi di sicurezza meglio non circolare con auto di servizio). Una volta presa la via Babanguida che porta a casa mia, da lontano si vedono le fiamme dei pneumatici che stanno bruciando sulla strada Charles de Gaulle. Sono i preparativi. Domani è un giorno importante, c’è il voto in Parlamento per la modifica della Costituzione. Ieri (martedì 28 ottobre), 1 milione di persone è sceso in piazza per dire no al disegno di legge per permettere a Compaoré di cambiare la Costituzione e ripresentarsi per un ennesimo mandato.
Com’è andato a finire il voto, è cosa nota: il parlamento viene messo a fuoco nelle prime ore della mattinata di giovedì 30 ottobre, quindi nessun voto. Anzi, 5 minuti dopo l’attacco al parlamento, il governo ritira il disegno di legge. Ma è troppo tardi. Nessuno può più fermare la rabbia di decine di migliaia di burkinabé ‘qui en ont marre’ (ne hanno le tasche piene, ndr). Se Blaise avesse ritirato il disegno di legge il giorno prima, sarebbe ancora al potere. Ma ha tirato troppo la corda. Trop c’est trop.
Giovedì 30 ottobre il popolo burkinabé fa quindi la storia, a 27 anni e 15 giorni dall’assassinio di Thomas Sankara. Noi espatriati ce ne stiamo tutti rintanati a casa naturalmente, come sollecitato anche dalle email che ci arrivano puntualmente dall’ambasciata italiana di Abidjan. In realtà, verso le 11.30 – il Parlamento sta bruciando da qualche ora – esco a vedere per strada che atmosfera c’è, la curiosità è troppo forte. Tutto è tranquillo nel mio quartiere (Wemtenga), ma l’atmosfera è euforica. La gente è in festa. ‘Ils ont arrêté François en train de fuire!’ (hanno arrestato François mentre cercava di fuggire, ndr) mi dicono i vicini, ‘Blaise è in Francia’, ‘Blaise è in Togo’, dicono altri. Non si sa dove sia Blaise, la gente pensa sia fuggito. Visto che la situazione è tranquilla, mi ‘avventuro’ giusto per qualche centinaia di metri per arrivare in ufficio, dove posso finalmente connettermi a internet, avere info in tempo reale e comunicare con l’esterno. Attraverso la nuova strada asfaltata del mio quartiere (Nouveau Goudron), e vedo i motorini passare con i clacson che si sprecano, gente che urla di gioia.. sembra di assistere alla vincita della coppa del mondo!
Nel primo pomeriggio del 30 ottobre però, l’atmosfera cambia, appena si viene a sapere che Blaise è rintanato al palazzo presidenziale e non vuole dimettersi. Purtroppo delle vite di cittadini burkinabé verranno sacrificate quel giorno, per aver voluto manifestare il loro dissenso fin davanti al Palazzo di Blaise. Io me ne torno a casa e mi metto ad ascoltare Radio Omega, che ha davvero raccontato tutte le fasi della rivoluzione grazie ai suoi corrispondenti sparpagliati in tutti i luoghi ‘caldi’, a Ouaga come nel resto del Paese. L’impressione è che per gran parte del popolo burkinabé sia stata una giornata storica di liberazione, ma a metà, perché l’uomo forte è ‘duro a morire’, ed è ancora lì, seduto sul suo trono. L’opposizione chiede a gran voce le sue dimissioni. Molti burkinabé sono pronti a riprendere una marcia verso il palazzo presidenziale il giorno dopo. Blaise ancora s’illude, ma le sue ore sono contate.
Il giorno dopo, venerdì 31 ottobre, mi sveglio presto e faccio due passi fino in ufficio, dopo aver controllato che tutto sia tranquillo. No rischi inutili, quindi me ne sto chiuso lì.
Poi, dopo pranzo arriva l’annuncio delle dimissioni di Blaise, date da Sams’k le Jah a (avec Smokey, è uno dei principali leader del movimentobalai citoyen), in Piazza della Nazione, info riportata in tempo reale da Radio Omega e sui social network. Poco dopo la notizia è confermata. A quel punto non riesco a trattenermi, esco a festeggiare con la gente. Lo so, le indicazioni dell’ambasciata erano di non uscire di casa, ma non ho potuto resistere all’idea di respirare l’atmosfera di questa liberazione. Preso la mia moto, sono andato a fare un giro per la città.
E’ difficile esprimere le sensazioni provate in quei momenti. La gente esprimeva gioia all’ennesima potenza. Si vedeva nei loro occhi una certa consapevolezza di aver fatto qualcosa di enorme, di aver fatto la storia. A tratti, a forza di sentire clacson dei motorini suonare e fischietti fischiare, sembrava che il Burkina avesse vinto la coppa del mondo un’altra volta! E questa volta per davvero! Devo ammettere che mi sentivo un po’ così anch’io… Sensazioni di entusiasmo. Momenti di giustizia sociale vera, applicata. Momenti da respirare. Certo, si rimane sbalorditi quando ci si trova difronte a un’assemblea legislativa completamente distrutta, ancora fumante dal giorno prima, con all’ingresso varie macchine calcinate distese come cadaveri. Peccato poi per alcuni estremismi, come i saccheggi di case di privati (magari collusi con il potere), che non sono mai giustificabili. Quella sera i militari prendono il potere, prima il capo dello stato maggiore Honoré Traoré, poi il numero due della guardia presidenziale Isaac Zida. C’è un po’ di confusione, coprifuoco alle ore 19. Giusto il tempo di tornare a casa per prendere due bottiglie di vino buono (una barbera e un nebbiolo portate da Torino) e andare a brindare velocemente da alcuni amici. Poi subito a casa. Il popolo burkinabé ha cacciato Blaise. Che giornata!
Il sabato 1° novembre, la situazione resta confusa. Le opinioni divergono, c’è chi è contento che i militari prendano il potere, c’è chi vorrebbe un rappresentante della società civile o comunque non esponenti militari vicini a Blaise. Il giorno prima la folla aveva acclamato un generale in pensione, Kwamé Lougé, che sembrerebbe abbia declinato successivamente per paura di ritorsioni. A fine giornata il capo dell’opposizione e il rappresentante della società civile firmano un comunicato per convocare una manifestazione l‘indomani in Piazza della Nazione per protesta contro la presa del potere da parte del numero due della guardia presidenziale, il colonnello Zida. Il movimento ‘balai citoyen’ non è d’accordo, e fin dalla sera invita la popolazione a non andarci.
Il 2 novembre, decido comunque di andare alla manifestazione insieme a un caro amico burkinabé. Sono d’accordo con chi pensa che bisogna mantenere alta la pressione sui leader dell’opposizione e sui militari in modo che la società civile possa giocare un ruolo vero nella transizione, e che non siano i militari a gestire il tutto. Verso le 10 siamo in piazza della Nazione (ribattezzata della ‘Rivoluzione’). C’è molta gente, anche se meno rispetto al martedì storico del milione di persone. I microfoni sulle gradinate del monumento della rivoluzione del 1983 funzionano male, salta completamente il sonoro. Non si capisce cosa dica la gente che cerca di parlare con i megafoni. A un certo punto si vede apparire la parlamentare Saran Sèrèmè sulle gradinate, ma non si capisce nulla. Poi d’un tratto la gente comincia a muoversi. Tutti cominciano a dire: ‘alla RTB, alla RTB!’. La RTB è la Radio Televisione Burkinabé. C’è chi dice che il colonnello Zida si è dimesso, e che una dichiarazione sarà fatta a breve alla RTB. A quel punto prendo la mia moto e anticipo la massa che si muove a piedi verso la RTB.
Una fiumana di gente arriva, si crea un cordone per fare entrare alcune automobili. Come hanno poi riportato le diverse radio e agenzie stampa, nel giro di qualche minuto due dichiarazioni vengono fatte alla RTB (che tra l’altro non funziona in quel momento, perché manomessa dai manifestanti due giorni prima), dalla parlamentare Saran Sèrèmè e dal Generale Lougé. Dentro il giardino della RTB i militari fanno sedere la folla di gente che è entrata, che comincia a cantare l’inno nazionale. C’è euforia, non si capisce bene cosa stia succedendo, ma sembrerebbe che il popolo burkinabé abbia portato un altro colpo al regime, accompagnando una civile ad autoproclamarsi presidente. Io nel frattempo devo andare a pranzo con un’amica. E’ un colpo di fortuna. Quasi a malincuore, riprendo la mia moto e me ne vado al Paradisio, ristorante a pochi km dalla RTB. Appena 15 minuti dopo, arriva una telefonata che ci avverte che stanno sparando alla RTB. Chiamo il mio amico, e mi dice che si è appena messo in salvo, e che se l’è vista brutta. In pratica, il colonnello Zida aveva mandato dei suoi uomini per disperdere la folla, con spari in aria. Una persona perderà la vita. Poteva andare molto peggio.
Nei giorni successivi la transizione prende corpo poco a poco. L’Unione Africana ha dato due settimane ai militari per lasciare il potere ai civili, altrimenti la comunità internazionale prenderà misure di ritorsione. Il budget statale del Burkina è in buona parte sovvenzionato dalla cooperazione internazionale. I militari lo sanno, ma potrebbero non darvi troppo peso. D’altra parte, i rappresentanti dell’opposizione e della società civile sanno che senza un consenso con le forze militari sarà difficile per loro gestire il Paese. Intense negoziazioni sono in corso. A giorni si saprà cosa succederà da un punto di vista istituzionale.
Quel che è certo, il popolo burkinabé ha dimostrato di essere maturo e consapevole al punto che sembra improbabile che i nuovi leader abbiano il coraggio di sfidarlo ulteriormente. Staremo a vedere.
Rimane il rammarico per i morti di questa rivoluzione, che si sarebbero potuti evitare. Come vari altri, sono sulla coscienza di Blaise Compaoré, il quale pensava che il suo popolo fosse una massa di mouton (pecore) che avrebbe accettato l’ennesima prevaricazione. E invece no, chi è scappato con la coda tra le gambe è proprio lui e il suo entourage. Resta da capire se la sua impunità durerà ancora a lungo.