Haiti: Covid-19, tra timore e speranza
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Intervista a Fabio Ricci, referente CISV ad Haiti, attualmente a Port-au-Prince.

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Qual è la situazione dell’epidemia ad Haiti e quali provvedimenti ha preso il governo?

L’epidemia è iniziata ufficialmente il 19 marzo, i primi due contagiati sono stati un belga e un haitiano che rientrava dalla Francia. I casi conosciuti a oggi sono 8, il governo ha
immediatamente diramato misure di contenimento come la chiusura delle scuole, il divieto di assembramenti di più di 10 persone, le raccomandazioni sull’igiene e l’indicazione di stare a casa, che però non è obbligatoria e qui non può esserlo.

Ad Haiti le persone sono costrette a uscire tutti i giorni per poter sopravvivere, trovare qualche lavoretto e per fare la spesa: nella maggior parte delle abitazioni mancano acqua ed elettricità, non si possono fare scorte di viveri. A Port-au-Prince il Comune ha collocato cisterne d’acqua clorata in alcuni punti della città, con la scritta “Lave Men Nou!” (lavati le mani), proprio perché nelle case non c’è l’acqua corrente.

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Qual è lo stato d’animo e il comportamento delle persone? Voi cooperanti ed équipe locali come state vivendo la situazione?

Al momento non c’è un clima di emergenza o di panico, perché i casi di contagio sono limitati. Alcuni pensano persino che l’epidemia sia un’invenzione dei politici per attirare fondi dall’estero. Viviamo fra il timore e la speranza: il timore perché Haiti è un Paese poverissimo, con un sistema sanitario precario, ci sono 137 letti di terapia intensiva (di cui solo una decina rispettano standard minimi) per 11 milioni di abitanti.

Negli ultimi 2 anni c’è stata anche una grave crisi socio-politica che ha causato più volte il blocco totale del Paese: tra settembre e novembre 2019 gli studenti hanno perso tre mesi di scuola, e adesso ne perderanno altri.

Però si vive anche nella speranza che qui la diffusione del virus venga contrastata meglio che da altre parti, per le condizioni climatiche, l’età media e le difese immunitarie della popolazione, che ha già affrontato numerose epidemie da cui è uscita rafforzata. Un immunologo dell’Oms mi spiegava che ad Haiti la ‘normale’ influenza ha una curva
d’incidenza più bassa rispetto ad altri Paesi. Quindi speriamo.

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Le nostre attività sul campo stanno andando avanti?

Ci stiamo organizzando in modo da non dover interrompere le attività ma piuttosto riadattarle almeno in parte: ad esempio avevamo in programma alcune campagne di sensibilizzazione sui diritti dei minori e sulla collaborazione tra Comuni e società civile (da realizzare attraverso trasmissioni radiofoniche, video, poster e dépliant informativi) che adesso saranno rivolte a informare sugli aspetti sanitari e sociali dell’epidemia: dalle corrette pratiche igieniche al contrasto allo stigma nei confronti di chi si ammala, fino alla responsabilità di dichiarare eventuali sintomi di contagio.

Stiamo anche facendo specifiche formazioni all’équipe dei colleghi locali che abbiamo rifornito di mascherine, riducendo la compresenza di persone negli uffici e dotandoli di prodotti igienico-sanitari, oggi molto costosi perché distribuiti da realtà private che stanno speculando sui prezzi.

Certamente questa situazione avrà un impatto forte e metterà in ulteriore difficoltà il Paese (e di conseguenza i progetti), ma la nostra presenza qui deve continuare e mostrare anche una capacità di adattamento e di risposta ai problemi contingenti.

 

(Photo/David Goldman, via https://yourvalley.net)

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