VENEZUELA: UNO SCORCIO DI TURISMO (RESPONSABILE)

di Félix Cordero Peraza (*)

Da Mérida alla Valle de Mucuchíes ci sono 45 km che corrono tra asfalto e strade tutte curve. Vivono lì circa 8.000 persone, dedite per il 70% all’agricoltura, per il 20% al commercio e per il 10% al turismo. Si tramanda che questa zona, a popolamento indigeno, fu fondata nel XVII secolo con il nome di Santa Lucia de Mucuchíes, e includesse i popoli originari Timotes e Cuicas. “Mucu” nella lingua locale significa luogo o pianura. “Chia” indica la dea della Luna. Valle de Mucuchíes è infatti un luogo ideale per il riposo, la contemplazione dei bei paesaggi naturali e la meditazione, favorita anche dal clima molto freddo. A 15 minuti da Mucuchíes, sulla strada per Gavidia, nel parco nazionale della Sierra Nevada, si trova un albergo che offre una particolare accoglienza e ospitalità, situato presso la falda del Páramo a 3.000 metri sul livello del mare, con temperature medie di 8 gradi. La vista che si gode dalle camere è particolarmente emozionante: da un lato la Valle, dall’altro il Parque Nacional de la Culata, zona boschiva e selvaggia. La sala da pranzo, dove vengono servite squisite cene andine, è di fatto una biblioteca di libri per bambini.

Qui ci si incontra con il concetto di turismo responsabile; portato avanti dalla cooperativa Caribana, fondata nel 2000 e diretta dal sociologo italiano Ignazio Pollini, membro di CISV, insieme al promotore turistico Nabor Balza. Lo scopo del loro lavoro è far conoscere il territorio ai visitatori attraverso la gente e la realtà quotidiana, nel rispetto delle tradizioni, dei valori locali e dell’ambiente. Nabor spiega: «Ogni anno accogliamo 7-8 gruppi di turisti in arrivo dall’Europa. In questo momento abbiamo avviato anche un progetto di autocostruzione di pannelli solari, per produrre l’acqua calda. Non riceviamo alcun aiuto istituzionale, il governo si limita a invitarci a eventi, fiere nazionali e internazionali di turismo sociale, rurale o ecologico. Chi ci finanzia sono le ambasciate di Polonia, Australia, Francia e Italia, inoltre abbiamo accordi con organizzazioni europee come CISV, Viaggi e Miraggi, Ecotours e Seten Taranna».

Al Páramo è arrivata la bibliomula
Ignazio e Nabor portano avanti un bellissimo progetto, umano ed educativo, la Bibliomula. Si tratta di una mula che viene caricata di libri e condotta al Páramo, dove fornisce i libri agli alunni di tre scuole rurali di alta montagna: Micarache, la più alta del Venezuela a 3.680 metri con una classe di 9 bambini; Gavidia a 3.300 metri, con 80 bambini; e Los Corrales a 3.000 metri con 25 bambini. Insieme agli alunni di queste tre scuole, la mula fornisce libri per circa 200 bambini di Mérida, come spiega con orgoglio Balza Nabor. «La mula va in giro con la schiena carica di libri, di vario argomento: poesia, letteratura, fiabe, leggende e teatro. Ad accompagnarla c’è un’équipe di specialisti formata da un promotore della lettura, un coordinatore e una guida del mulo. Quando la mula arriva, viene aperta la bisaccia sulla sua schiena e gli alunni scelgono il libro da leggere o recitare. L’obiettivo primario dell’iniziativa è rafforzare le capacità di lettura e scrittura, i bambini leggono i libri e ne scelgono alcuni da mettere in scena». Un altro aspetto importante, spiega Nabor, è la formazione dei docenti e l’interscambio con altre scuole, in particolare di Italia e Spagna. Nel periodo dei campi estivi si approfondiscono poi temi quali i valori umani, il rispetto reciproco, la solidarietà e la pace.

I prodotti del Páramo
Si racconta che in origine la principale coltivazione del Páramo era rappresentata dal grano tenero, il trigo, che veniva raccolto collettivamente. Al suono di una campana la gente accorreva a seminare, mietere e trebbiare. Mangiavano e lavoravano tutti insieme, ricevendo parte del raccolto in cambio del loro lavoro. Il trigo veniva trasportato a dorso di mulo o cavallo a Mérida, dove veniva venduto in cambio di grano duro, riso, zucchero, caffè e altri prodotti agricoli. Più tardi la popolazione iniziò a piantare patate originarie delle Ande e il trigo fu sostituito con piante più facili da coltivare e a minor prezzo. Il grano duro arrivò dall’Argentina insieme a riso, avena e farina del Brasile. L’aglio sostituì la patata, che fornisce guadagni maggiori ma danneggia il terreno, lo erode e richiede l’uso di fertilizzanti chimici, responsabili della progressiva sterilità del suolo e di varie malattie. Oggi l’aglio è il prodotto più diffuso, insieme alla patata bianca venduta all’impresa statunitense Frito Lay. I produttori di aglio affittano la terra e la sfruttano per un periodo che va da 1 a 3 anni, senza proteggerla né fare opere di conservazione, e abbandonandola quando diventa improduttiva. I piccoli produttori orticoli piantano invece cipolline, carciofi, fragole, cavoli, cavolfiori e carote.

Il tutto all’interno di un bellissimo scenario montano, dove le persone sono lavoratori instancabili, capaci al tempo stesso di offrire attenzione nei riguardi di turisti e visitatori. «Il governo locale dovrebbe regolamentare il turismo della cooperativa proprietaria della posada» dice Nabor, «come fanno in altre zone: a Cartaghena, Curacao e Panama. Qui a Mérida non c’è ancora un turismo responsabile che sappia guardare lontano, avendo cura del suo prodotto e curando l’immagine del luogo. Le grandi strutture sono proprietà di stranieri arrivati dopo la seconda guerra mondiale, che hanno tolto le attività commerciali e i servizi dalle mani dei locali». Inoltre Nabor critica la Corporación merideňa de turismo (Cormetur) «che diffonde pubblicazioni e piani in cui si promuovono solo le grandi strutture come El Castillo e i parchi tematici». Per il turismo responsabile, dunque, la strada è ancora tutta da esplorare.

(*) El Universal, Caracas