La “rivoluzione di pace” dei Nasa in Colombia
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di Giulia Caramaschi, volontaria Corpi Civili di Pace a Toribío

Da molti anni, tra le montagne del Nord del Cauca, il popolo indigeno dei Nasa tenta senza sosta di costruire un proprio mondo anti egemonico, costituendosi come uno dei migliori esempi di resistenza pacifica esistenti. 

Alla radice della resistenza nonviolenta dei Nasa c’è il mandato di cui si sentono portatori: preservare la vita e, a partire da essa, l’identità, la cultura, la politica, i valori sociali, l’economia propri.

La Guardia Indigena Nasa è costituita da uomini, donne e bambini di ogni età, e rappresenta uno sforzo volontario e cosciente in difesa del territorio e della cosmo-visione Nasa.

Non nasce come guardia armata, bensì come guardia civica che indossa il chaleco e impugna la chonta (rispettivamente l’uniforme e l’arma di difesa dei guardias, o meglio, il bastone tradizionale del comando) e persegue instancabilmente il suo obiettivo di “sorveglianza, controllo, allarme, protezione e difesa della terra in coordinamento con le autorità tradizionali e la comunità”.

E’ la prova reale di un processo rivoluzionario, un importante messaggio politico simbolo della rivendicazione da parte della società della propria autonomia, un’esperienza di neutralità positiva e, infine, una lezione di pace per l’intero Paese.

La Çxhab Wala Kiwe (il territorio del gran pueblo) è lo spazio geografico dove circa 25 mila famiglie Nasa vivono autogovernandosi per mezzo di un governo proprio e circondate da una natura testimone silenziosa di troppe morti innocenti.

Il “genocidio indigeno” ha infatti causato l’assassinio di 115 persone in tutto il territorio colombiano negli ultimi tre anni.

Secondo i dati di Indepaz e di ONIC – Organizzazione Nazionale Indigena della Colombia, al momento in cui si scrive viene assassinato un indigeno ogni quattro giorni.

E il Cauca è il dipartimento con il maggior numero di omicidi di leader e difensori dei diritti umani.

Sono proprio gli omicidi selettivi e l’accanimento verso rappresentanti politici, leader sociali e Kiwe Thegnas (“protettori del territorio”, i membri della Guardia) a provocare rabbia e costernazione, ora più che mai nelle zone rurali, mentre prosegue la campagna elettorale dei candidati alle elezioni amministrative previste il 27 ottobre.

Il recente inasprimento della violenza si può ricondurre principalmente a tre fattori: a) la lentezza nell’implementazione dell’Accordo di Pace, soprattutto nei territori più colpiti dal conflitto; b) la conseguente disputa a fuoco e sangue di questi stessi territori tra differenti attori armati, che condividono molti interessi, tra cui prendere il controllo del narcotraffico e dell’estrattivismo illegale, e sostentarsi economicamente con i profitti derivati; c) una presa di posizione troppo debole delle forze statali che, al reiterarsi della violenza, non hanno risposto con un incremento della propria presenza in queste zone “rosse”.

La preoccupazione è aumentata da fine luglio quando, lungo la strada che collega due località nel Nord del Cauca, El Palo e Toribío, alcuni uomini armati hanno sparato e lanciato granate a un furgone che trasportava un gruppo di guardias.

Attacco che fortunatamente ha provocato “solo” quattro feriti e nessuna vittima. A questo e a tanti altri episodi senza lieto fine che si sono seguiti nei mesi, si sono sommati i panfletos di minaccia collettivi, firmati dai vari attori armati illegali che agiscono sul territorio.

I Nasa si sono già difesi, hanno resistito e si sono ricostruiti nel bel mezzo di una guerra. Tuttavia questa seconda fase nella “storia infinita” del conflitto colombiano si sta caratterizzando per una diversa e più confusa presenza di attori armati, che rende tutta l’area nuovamente instabile.

La comunità sta ora subendo azioni criminali da parte di attori armati privi di ideologia politica:

mentre in passato se ne conoscevano i “principi”, e il dibattito e la negoziazione erano parte integrante delle dinamiche conflittuali, “ora non è chiaro chi ci stia uccidendo”, dicono i comuneros.

Con l’Accordo di Pace firmato il 24 novembre 2016, nel tentativo di porre fine a 53 anni di scontro armato con le FARC-EP e risolvere le cause strutturali del conflitto armato in Colombia, i Nasa, che avevano consolidato la loro Guardia Indigena nel 2001, speravano che sarebbero migliorate le condizioni in cui i propri guardias effettuano il controllo territoriale.

Il Capítulo Etnico dell’Accordo, al punto 6.1.12.3c. “In materia di Garanzie sulla Sicurezza del punto 3.4”, recita così: «La prospettiva etnica e culturale verrà incorporata nelle dinamiche di progettazione e attuazione del Programma di Sicurezza e Protezione delle comunità e delle organizzazioni territoriali.

Sarà garantito il rafforzamento dei sistemi di sicurezza propri dei popoli etnici, riconosciuti a livello nazionale e internazionale, come la Guardia Indigena e la Guardia Cimarrona» (quest’ultima è il sistema di auto protezione costituito dal popolo afro-discendente colombiano del Cauca per la riconciliazione, la costruzione della convivenza e il raggiungimento della pace attraverso la giustizia sociale).

Per le comunità indigene e afro-discendenti, l’inclusione di questo tema nell’Accordo di Pace non ha rappresentato solo un riconoscimento simbolico o politico, bensì la garanzia di un appoggio governativo concreto, che dotasse la Guardia Indigena di facoltà operative, logistiche e tecniche per svolgere al meglio e con maggiori risultati il proprio mandato di protettrice del territorio.

Senza dubbio, quasi tre anni dopo la firma a L’Avana, tale rafforzamento non sembra essere stato preso in considerazione con l’urgenza che merita, nemmeno di fronte alle ripetute esortazioni dell’ONU a intervenire repentinamente in una situazione già complessa e critica, ma che sta diventando insostenibile ogni giorno di più.

Le comunità del dipartimento del Cauca, specialmente del nord, stanno vivendo un grande paradosso: mentre sul piano internazionale si parla di pace e post conflitto, nelle loro veredas sembra abbattersi nuovamente la bufera dei tempi più convulsi della guerra, e tra queste montagne continua a risuonare instancabile l’Inno della Guardia Indigena:

Pa’ delante compañeros, dispuestos a resistir / Defender nuestros derechos, así nos toque morir. ¡Guardia! ¡Fuerza! (Avanti compagni, disposti a resistere per difendere i nostri diritti, anche se ci tocca morire!)

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