Rubrica Indigena/2: coltivare la terra per far crescere diritti umani
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di Giulia Caramaschi e Costanza Belli, già Corpi Civili di Pace in Colombia

Una delle preoccupazioni della comunità Nasa in questo periodo riguarda le conseguenze delle misure attivate per la quarantena, in vari ambiti della vita quotidiana. In particolare, già dai primi giorni è risultato evidente un peggioramento nel contesto di sicurezza di questi territori ancestrali. Nelle ultime settimane di aprile si sono moltiplicati gli atti di violenza perpetrati dai vari attori armati (dissidenze delle FARC-EP, esercito nazionale, ESMAD – Squadrone Mobile anti-sommossa della Polizia Nazionale, squadroni “ingaggiati” dalle multinazionali dell’agroindustria), costringendo la popolazione a convivere con il pericolo di una pandemia globale in corso e nel bel mezzo di un fuoco incrociato.

Il crescendo di attacchi violenti e violazioni dei diritti umani ha portato il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca – CRIC a indire un’assemblea straordinaria, lo scorso 2 maggio, per denunciare la gravità della situazione di fronte all’opinione pubblica nazionale e internazionale. Infatti, dall’inizio dell’isolamento preventivo obbligatorio a marzo, solo nel dipartimento del Cauca sono state assassinate 20 persone tra leader comunitari e difensori dei diritti umani.

In questo periodo, ancora più di prima, sono state numerose le richieste da parte delle comunità indigene al governo colombiano di prendere provvedimenti in merito all’estrema vulnerabilità che stanno vivendo, strette nella scelta di concentrare le attività di controllo territoriale sul presidio dei confini per prevenire la diffusione del virus, oppure sull’autodifesa dagli attacchi armati.

Prima fra le richieste, il ritiro delle truppe dell’esercito nazionale nei territori indigeni, che espongono ulteriormente le comunità alla violenza.

La mancanza di risposta istituzionale a queste petizioni delegittima l’operato della Guardia Indigena, i cui membri sono continuamente minacciati da panfletos pubblicati dai diversi attori armati; e, d’altra parte, legittima la violazione di qualsiasi regola che impedisca scontri tra l’esercito governativo e i gruppi armati illegali in presenza di civili.

Durante uno di questi scontri, che si stanno registrando in tutto il Nord del Cauca, lo scorso 15 aprile nel Municipio di Toribìo un ragazzo di 14 anni è rimasto ucciso in casa sua da una bala perdida (proiettile vagante). Questo non solo dimostra l’urgenza di ripensare la gestione della crisi sanitaria, che acuisce e riproduce le disuguaglianze già in essere, ma soprattutto ribadisce la mancata implementazione degli Accordi di Pace per la quale alcune zone della Colombia più di altre sono ancora martoriate dalle vecchie e nuove dinamiche del conflitto armato.

Tali dinamiche obbligano le comunità a violare le misure di prevenzione del Covid-19: appellandosi alla situazione di estremo pericolo che corrono le popolazioni indigene di fronte alla diffusione del virus, il CRIC ha prodotto un comunicato diretto all’ELN (Ejército de Liberación Nacional, uno dei più longevi gruppi di guerrilla armata della Colombia) chiedendo l’estensione del “cessate il fuoco”, proclamato fino al 30 aprile, anche a tutto il mese di maggio, proprio per lo stato di emergenza nazionale.

L’ondata di violenza degli ultimi tempi sembra aver colpito in maniera particolare il movimento di Liberacion de la Madre Tierra, che da anni coinvolge molte famiglie della comunità Nasa, ma anche afro-discendenti e contadini, nel processo di riscatto delle terre ancestrali, sottraendole alle multinazionali e sostituendo le monocolture con produzioni agro-ecologiche. Negli ultimi due mesi, gli scontri tra esercito e gruppi armati si sono succeduti con frequenza bisettimanale.

I soldati dell’esercito pattugliano le terre occupate dalla Liberacion minacciando i contadini e, in più occasioni, hanno aperto il fuoco e lanciato esplosivi contro i gruppi armati pur consapevoli della presenza di civili nella zona. L’esercito ha aperto più volte il fuoco anche contro i/le liberadores/as e alcuni di loro sono stati detenuti e interrogati arbitrariamente.

 

Il 25 aprile, in una delle terre liberate, sono state avvelenate 30 vacche appartenenti al movimento di Liberacion: ne sono morte 16, per un valore di 40.000.000 pesos colombiani [euro 9,500], causando un grave danno alla sicurezza alimentare delle famiglie che dipendono da questi animali. Per il fatto, si sospetta del personale di sicurezza di una delle multinazionali della canna da zucchero operanti nell’area.

Secondo alcune testimonianze, al loro arrivo sul posto i/le liberadores/as sono stati attaccati dall’esercito, e solo grazie all’azione tempestiva della comunità i soldati sono stati trattenuti e consegnati alle autorità indigene e all’organizzazione di difesa dei diritti umani per la verifica dell’accaduto. Contemporaneamente, alcuni lavoratori di una finca poco distante venivano attaccati da quattro soggetti armati, scontro che ha provocato due feriti e
il decesso dell’amministratore di quei terreni.

Nonostante questi avvenimenti e la crisi del coronavirus, i/le liberadores/as hanno continuato a coltivare le loro terre così faticosamente “liberate” e hanno poi organizzato la Tercera Marcha de la comida (Terza Marcia del Cibo): il 24 aprile hanno caricato i prodotti agricoli delle terre liberate su una chiva (mezzo di trasporto locale, ndr) e li hanno portati fino a Cali, dipartimento del Valle del Cauca, per una giornata di condivisione di quella alegre rebeldia (allegra ribellione) con cui i Nasa rivendicano la potenza rivoluzionaria della solidarietà, della cura degli altri e della natura che ci alimenta.

Ciliegina sulla torta, nelle prime settimane di aprile la compagnia che fornisce l’energia elettrica in Cauca ha sospeso l’erogazione in alcune veredas, dove gruppi di comuneros che coltivavano illecitamente marijuana (usando in modo spropositato l’elettricità per mantenere illuminate le serre) non pagavano da tempo le salate fatture. Questa azione ha scatenato la vendetta dei coltivatori che, a loro volta, hanno danneggiato i cavi della linea erogatrice principale di tutto il municipio, lasciando migliaia di persone senza energia elettrica per oltre due settimane, peggiorando le condizioni già precarie della gente, in particolare chi vive nelle zone più isolate, e rendendo ancor più difficili le comunicazioni. Le autorità indigene hanno dovuto negoziare per giorni con la compagnia in modo da trovare una soluzione provvisoria che non colpisse tutta la comunità.

Le problematiche derivanti dal contesto di sicurezza e dall’avanzare dell’epidemia non hanno però impedito ai Nasa – insieme agli altri popoli originari presenti in Colombia – di manifestare contro la tentata violazione del loro diritto alla consulta previa (consultazione previa, libera e informata) a cui abbiamo accennato nella prima puntata della Rubrica.

Sembra infatti che il Ministero dell’Interno abbia sfruttato lo stato d’eccezione in cui versa il Paese per scavalcare i sistemi a garanzia dei diritti della popolazione indigena, e distogliere l’attenzione dei cittadini da tutte quelle problematiche che, solo qualche mese fa, avevano portato milioni di colombiani in piazza e dato vita al Paro Nacional (sciopero nazionale). Lo sciopero era stato proclamato da alcuni settori della società civile contro l’inadempimento degli Accordi di Pace e le politiche economiche, ambientali e sociali dell’attuale governo: diventando una delle più grandi proteste mai avvenute in Colombia, prima della crisi, aveva fatto sperare in un possibile cambio di rotta delle istituzioni.

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