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Una bacchetta magica e qualche parola dal suono bizzarro e misterioso, nelle fiabe sarebbe questa la soluzione perfetta per cancellare con un colpo di spugna il passato e scrivere un definitivo “e vissero felici e contenti”. Ed è proprio una fiaba quella che mi piacerebbe scrivere, una di quelle “storie coraggio” coronate da un lieto fine. In questo caso però, nonostante di coraggio ce ne sia molto, mi è difficile pensare a un finale completamente sgombro da nuvole.
I bambini vittime di violenza in Benin hanno un nome, che forse non racchiude tutti i casi, ma che ne rappresenta molti, o meglio sintetizza il fenomeno più diffuso, quello dei bambini affidati, vidomegon in lingua fon.
È una pratica che affonda le sue radici nella tradizione beninese e che nasce da una voglia di riscatto da parte delle famiglie meno abbienti e da una forma di solidarietà delle famiglie ospitanti. In passato le famiglie più povere e dei villaggi erano solite affidare i loro figli a parenti o conoscenti più agiati, con l’intento di donare loro un’educazione migliore e qualche possibilità di riuscita in più. Da tempo però quest’abitudine ha assunto sempre più i contorni di un commercio: i bambini affidati sono dei veri e propri bambini venduti, spesso vengono ceduti a dei mediatori che si occupano di piazzarli come manodopera a bassissimo costo. E così già a 6-7 anni si diventa una piccola lavoratrice domestica, un muratore, una venditrice del mercato. Alla base una povertà crescente e una maternità spesso troppo precoce, per cui ci si trova a essere genitori-bambini e ad affrontare con difficoltà le responsabilità e le incombenze economiche.
E se in Benin nell’educazione dei propri figli spesso si è rigidi, con i bambini in affido lo si è ancora di più e così nelle famiglie affidatarie salta subito all’occhio chi è l’ “intruso”.
Il fenomeno vidomegon riguarda soprattutto le bambine e porta con sé altre realtà spiacevoli come gli episodi di violenza o di matrimonio forzato. In Benin ci si trova quindi davanti a un popolo di bambine che hanno già percorso svariati chilometri, sono state costrette a emigrare in Nigeria, in Togo, in Ghana, percorrendo grandi distanze e attraversando frontiere. Bambine beninesi che parlano inglese e che ignorano completamente il francese perché per troppo tempo sono state lontane da casa. Bambine in fuga, trovate a vagare lungo la statale mentre cercano di raggiungere il proprio villaggio d’origine. Bambine che arrivano spaventate al Centre Vignon e che si trasformano, diventando bambine che giocano, leggono e imparano, tornano a impossessarsi della loro età e a crescere senza fretta.
La magia non è una vera magia e questa non certo una favola: i risultati sono l’effetto di tanta volontà e impegno da parte loro e di tutto lo staff che le accoglie. Spesso è dura perché la mole di lavoro è molta, i problemi altrettanti ma quando, nonostante le difficoltà, la magia riesce allora alcune ragazzine ricominciano ad andare a scuola, altre dopo aver seguito la formazione in panetteria sono in grado di preparare dei panini deliziosi, altre ancora mostrano orgogliose alla propria madre le foto scattate durante la preparazione del sapone dicendo: “tutto questo l’ho fatto io”. Alcune dopo un percorso d’accompagnamento tornano a vivere in famiglia e alcune restano al Centro più a lungo, perché affrontare la vita insieme è più facile che farlo da sole.
È una magia particolare che costa molta fatica, perché il futuro si conquista ogni giorno, a piccoli passi, e se la violenza subita non si dimentica la si può forse nascondere dietro una vita nuova.
Viviana Brun
Servizio Volontario Europeo in Benin