BURKINA FASO, I DIRITTI SCRICCHIOLANO

Di Basidou Kinda (*)

«Per godere dei propri diritti, bisogna prima di tutto essere vivo» sosteneva Norbert Zongo, il giornalista burkinabè assassinato nel ’98 per le sue inchieste scomode, volendo indicare che il diritto alla vita è il fondamento di tutti gli altri diritti umani. Tuttavia, oggi questo diritto non sembra più avere alcun senso per le popolazioni del Burkina Faso; al contrario, si ha quasi l’impressione che uccidere sia diventato un diritto che molti si arrogano. A denunciarlo è l’ultimo Rapporto del MDBHP, il Movimento burkinabè per i diritti degli uomini e dei popoli: 68 pagine che raccontano di arresti e detenzioni arbitrarie, casi di maltrattamento e tortura nelle carceri, omicidi e violazioni dei più elementari diritti civili e politici.

A cominciare da assassini che rimangono impuniti. In particolare, nella provincia di Nahouri, sarebbero stati compiuti diversi omicidi, legati alla lotta per il potere dei leader che si contendono la chefferie locale. Secondo l’MDBHP, “questo tipo di scontri comunitari, estremamente frequenti nel Paese, sono dovuti a una gestione caotica e lassista dei conflitti tra le diverse comunità, e alla debole capacità delle istituzioni di prevenire gli stessi”. Oltre a quelli di Nahouri ci sono stati altri episodi, come quello di Karpala dove una ragazzina di 14 anni è caduta sotto i proiettili di un militare del reggimento di sicurezza presidenziale. In questo caso, la determinazione della popolazione che si è sollevata dando vita a manifestazioni pubbliche ha fatto rinchiudere il responsabile nel centro di correzione di Ouagadougou (il carcere noto come Maco).

Qualche mese dopo è toccato a cinque “presunti delinquenti” di essere linciati a morte nel quartiere 28 di Ouaga, senza che la polizia intervenisse per evitare il massacro. Il Movimento per la difesa dei diritti umani collega “questa forma d’espressione della giustizia popolare” al venir meno della fiducia delle persone nei confronti della giustizia ufficiale, considerata “una delle istituzioni più corrotte del Paese”.

A fine 2012 in Burkina Faso, nella zona di Boulgou, la storia ha conosciuto la prima “fossa comune” prodotta dai conflitti intercomunitari. Tra le vittime adulti e ragazzi. In seguito a questo fatto un centinaio di persone sono state interrogate e deferite dal Procuratore del Faso, presso il Tribunal de grande instance di Tenkodogo. Un altro conflitto, a Zabrè, ha prodotto 1.567 sfollati, di cui 230 uomini, 476 donne e 861 bambini. Secondo il Rapporto, che pone l’accento sui diritti delle persone sfollate, costoro si troverebbero in una situazione di grave precarietà, per le emergenze sanitarie e per il mancato accesso alla scuola di bambini e ragazzi.

Torture e carcere

In Burkina Faso la tortura, almeno sulla carta, è soggetta a un divieto assoluto. Ma di fatto non mancano episodi di violazioni della legge, ad esempio da parte della Bac, la Brigata anticrimine della polizia nazionale. Tra i casi venuti alla ribalta quello di Justin Zongo, nel febbraio 2011, a Koudougou; o del meccanico Adama Kima che nel febbraio 2012 ha subito torture da parte di alcuni elementi della sicurezza del ministro della Giustizia Justice Jerome Traorè con cui aveva avuto una discussione! Malgrado questi casi acclarati, il Movimento per i diritti umani evidenzia come “raramente vengano condotte inchieste serie in grado di condurre a conclusioni certe e trasparenti”. In realtà lo Stato “avrebbe l’obbligo di condurre indagini imparziali ogni volta che vengono compiuti maltrattamenti o torture da parte di rappresentanti delle istituzioni”, purtroppo però “i mandanti di questi misfatti beneficiano quasi sempre dell’impunità, da qui la persistenza del fenomeno”.

Di torture e maltrattamenti ne sanno qualcosa i detenuti. Secondo l’MDBHP, la loro situazione non è sostanzialmente cambiata nell’ultimo anno. I detenuti “ospitati” nelle diverse prigioni del Paese sono circa 4.900 a fronte di una capacità d’accoglienza di 3.700 posti, vale a dire un tasso d’occupazione del 130%. Il carcere di Bobo Dioulasso batte tutti i record negativi, arrivando al 265%. Promiscuità, mancanza d’igiene, malnutrizione, mancanza di rispetto per la dignità e i diritti dei prigionieri sfociano facilmente in casi di malattie e persino di morte. Il Rapporto ha descritto così la loro vita quotidiana: i detenuti sono rinchiusi in totale promiscuità dentro celle di 10 metri quadrati; in ognuna di esse devono convivere dai 6 ai 12 prigionieri. Le regole di separazione tra i prigionieri, in base al sesso, all’età, al tipo di reato commesso ecc. non sono di fatto rispettate. Si trovano insieme adulti e minorenni, uomini e donne, persone in attesa di giudizio con altri che hanno una condanna definitiva, detenuti in regime speciale e detenuti ordinari… Tutto questo provoca mancanza d’igiene, diffusione di malattie contagiose, episodi di violenza. Una situazione che non serve certo a “recuperare” le persone ma favorisce piuttosto la recidività. Fatto tanto più grave in quanto non tutti coloro che finiscono in galera sono necessariamente dei delinquenti. Il Movimento per i diritti umani denuncia come “il contrasto all’insicurezza è diventato il pretesto ideale per arrestare e tenere rinchiuse le persone in maniera arbitraria e/o abusiva, a volte sulla base di un semplice ordine di mettersi a disposizione inventato da zero a opera di magistrati e giudici istruttori”. Secondo i dati dell’MDBHP, almeno una cinquantina di persone nel Paese sarebbero detenute in maniera illegale; senza dimenticare oltre 300 militari in attesa di giudizio dal 2011. Tutti i tentativi d’intervento attuati finora dal Movimento per i diritti umani al fine di porre rimedio a questa situazione non hanno purtroppo sortito effetto.

Al momento, l’MDBHP ha potuto solo formulare alcune indicazioni per migliorare la situazione nel Paese: avviare inchieste serie e trasparenti su tutti i casi di violazione dei diritti; condurre effettivamente davanti ai tribunali competenti gli autori di questi crimini; mettere un termine definitivo alla pratica illegale degli ordini d’arresto arbitrari e, più in generale, far sì che il ricorso alla detenzione torni a essere un’eccezione e non la regola del vivere civile.

(*) L’Evenement