La mia casa è dove sono felice, parola di Mambaye Diop
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Interviste e riflessioni sul tema delle migrazioni di ritorno a cura di Serena Carta, #progettoMIGRA

Cita scrittori e libri, Mambaye Diop, mentre racconta di sé: Max Mauro, Abdelmalek Sayad… È il patrimonio, anche intellettuale, frutto della sua esperienza migratoria a parlare. Partito dal Senegal nel 1998, è arrivato in Italia un po’ per caso; poi nel 2012 ha deciso di tornare a vivere in Senegal con moglie e figlio. Oggi, a chi lo vuole definire un migrante di ritorno, dice di no: “Chi ha detto che sono ritornato? L’esperienza con l’Italia non si è conclusa: per via della mia famiglia continuo a muovermi tra i due Paesi. La mia casa è dove sono felice; e io sono felice sia in Italia che in Senegal”.

Andarsene dal Senegal non era nei suoi piani; lo ha spinto il fratello a partire. “Quando ero piccolo e guardavo le immagini della televisione, mi dicevo che mi sarebbe piaciuto viaggiare per il mondo, ma non pensavo a trasferirmi all’estero. Poi nel ’98 mio fratello mi ha chiesto se non mi interessasse andare in Europa. All’epoca non avevo un lavoro fisso: raccoglievo dati per ONG e organizzazioni internazionali e lavoravo nel campo dell’educazione. Lui mi ha offerto una somma di denaro, io mi sono cercato qualcuno per partire e ho trovato un canale sicuro per viaggiare. È così che sono arrivato in Italia. Avevo 29 anni, oggi ne ho 52”.

I primi 6 mesi in Italia li ha trascorsi al Pigneto, il quartiere romano, dove faceva il venditore ambulante, come tanti: “Sono stati i 6 mesi più duri della mia avventura italiana, era un lavoro che non mi piaceva, ma dovevo farlo per pagare le spese quotidiane”. Poi è arrivata l’intuizione: “Avevo indovinato che la chiave di svolta sarebbe stata la lingua italiana, così mi sono messo a studiare come un matto. Dopo 6 mesi ho letto con l’aiuto del vocabolario un romanzo di Milan Kundera; quando ho finito il libro parlavo italiano. Mi sono ripromesso che non sarei mai più tornato per strada”. 

Promessa mantenuta (complice anche l’ottenimento del permesso di soggiorno). A una prima esperienza in una bottega del commercio equo e solidale – “qui ho iniziato a curiosare in biblioteca e mi sono messo a leggere libri che mi hanno permesso di formarmi sui rapporti tante volte sleali del commercio mondiale, regole tutte a favore del mondo occidentale” – è seguito un periodo a Torino e in Germania come operaio. Poi l’incontro con Francesca, sua moglie, con cui si è sposato nel 2001 in Senegal. Rientrati in Italia, la carriera professionale di Mambaye ha seguito la rotta della mediazione interculturale; ma dopo qualche anno il destino gli ha offerto una nuova opportunità, quella di diventare attore (tra le diverse collaborazioni, ricordiamo quella nel cortometraggio prodotto da Marcello Mazzarella Mare nostro).

Dopo 14 anni in Italia e tanti progetti che gli hanno fatto mettere radici a Roma, il desiderio di rientrare in Senegal è diventato così forte che Mambaye e Francesca hanno deciso di partire per il Senegal. Ma rientrare con una sposa bianca, un bimbo nato in Italia e più di un decennio di vita alle spalle in Europa non è stato facile. “I ritorni non lo sono mai – racconta – Ad esempio, non sono riuscito a portarmi dietro la macchina e così mi sono ritrovato a spostarmi in bicicletta. Questo non ha fatto altro che accentuare l’immagine che i miei concittadini avevano di me: mi trovavano strano, matto, diverso. Ma ero preparato. Sapevo che erano due le strade che avevo davanti: essere in lotta con me stesso, adeguandomi ai codici comportamentali senegalesi, oppure vivere pienamente la mia nuova identità mista. Ho scelto la seconda via e ho affrontato il conflitto con la società e le incomprensioni con la mia famiglia e con tutti coloro che non erano mai usciti dal Senegal e non riuscivano ad accettare che fossi cambiato. Per fortuna il tempo ha fatto la sua parte, ora le persone hanno capito chi sono diventato. Ci è voluta tanta forza di volontà”.  

Dal 2012, anno del trasferimento in Senegal, Mambaye collabora con l’ufficio di Inca CGIL a Dakar, da cui promuove e sostiene – nella pratica dei servizi offerti dal patronato – i diritti dei lavoratori. È attivo anche in molte attività di sensibilizzazione sui rischi della migrazione irregolare e sulle opportunità di vita e di lavoro in Senegal: “I giovani a cui parlo – spesso anche laureati, ma disoccupati – sanno già tutto sui rischi del viaggio; quello che non sanno è che la vita che si fa in Europa non è come se la aspettano e io gliela racconto, condividendo la mia esperienza di mediatore interculturale con i migranti che ho incontrato in Italia. Così provo a fare la mia parte”. 

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