Scene di razzismo in Burkina Faso

di Germain Bitiou Nama (*)

Hamidou Ouedraogo detto “Ben Laden” è un sergente in pensione, nel 1997 si è trasferito nel villaggio di Neboun dove l’etnia Mossi, cui appartiene, non è vista di buon occhio. Lo scorso settembre “Ben Laden” ha perso suo figlio: mentre cercava di organizzare la sepoltura per il bambino, tre inviati del capo villaggio gli hanno ingiunto di non procedere al funerale finché non avesse pagato un’ammenda. Sconvolto da questo diktat, Ouedraogo si è rifiutato di ottemperare alla richiesta, e ha fatto seppellire il piccolo presso un campo di sua proprietà. L’episodio è stato il pretesto di una serie di azioni xenofobe dirette contro la comunità Mossi.

A distanza di qualche settimana da quegli eventi, è stata avviata una vera caccia all’uomo, diversi commercianti Mossi residenti a Neboun sono stati presi a bastonate e 5 negozi sono stati chiusi. In questa atmosfera concitata c’è stato un “si-salvi-chi-può” generalizzato. La chiusura dei negozi dei migranti è stata decisa in una fatwa (parere consultivo espresso da un giudice musulmano, ndr) pronunciata dal capo di Neboun. Quanto all’”impertinente” Hamidou, gli è stato vietato di pregare con i propri correligionari nelle moschee del villaggio, mentre gli altri migranti sono stati minacciati – se avessero solidarizzato con lui – di venir privati delle terre e cacciati dal villaggio. Tutto ciò è il culmine di 15 anni di cattivi rapporti tra Hamidou e il capo villaggio. Secondo Hamidou, la controversia risalirebbe ai primi tempi del suo insediamento nella zona. Lui porta una lunga barba, cosa che lo fa guardare con diffidenza da alcuni correligionari. Ma questa pratica, spiega Hamidou, «è dovuta al fatto che ho la pelle molto sensibile e non sopporto la lama. Ogni volta che mi sono rasato, mi si sono formate delle piaghe, tanto che su raccomandazione dell’infermiere del Campo Guillaume sono stato autorizzato a tenere la barba lunga». I suoi commilitoni l’avevano battezzato Ojukwu, dal nome del famoso colonnello nigeriano che si distingueva per la barba fluente. Oggi, Hamidou ha barattato questo nome con quello di Ben Laden.

Dietro la diffidenza dei correligionari, sta il timore che lui sia di confessione wahabita (movimento fondamentalista islamico, ndr). Per questo motivo già nel ’99 gli era stato intimato di lasciare il villaggio. All’epoca fu portato davanti al comandante della gendarmeria nel dipartimento di Léo; in quell’occasione però i suoi detrattori non ebbero la meglio: il comandante di brigata si era appellato alla legge del paese per spiegare che la loro richiesta era priva di fondamento. Davanti alle minacce di morte pronunciate dagli accusatori di Hamidou (si erano presentati a Léo in circa 60 persone!) il comandante di brigata non si era lasciato intimidire: messo un grosso bastone in mano al primo della fila, l’aveva sfidato a uccidere Hamidou seduta stante, visto che era quella la loro intenzione. Una simile presa di posizione da parte dell’autorità aveva fermato i manifestanti, anche perché accompagnata da un chiaro avvertimento: «Se succede qualcosa ad Hamidou, farete i conti con la giustizia».

L’episodio di Léo ha un po’ calmato le acque ma non è servito a sradicare l’ostilità del capo villaggio e dei suoi uomini nei confronti dei migranti, che si è piuttosto spostata sul… versante agricolo. Su indicazione del capo villaggio, il segretario del groupement villageois ha rifiutato infatti di fornire i fertilizzanti ad Hamidou “Ben Laden” per il suo campo di cotone. Malgrado ciò, la produzione di quest’ultimo ha raggiunto le 4 tonnellate. In seguito, ha ottenuto le sementi per una superficie di 5 ettari dal responsabile della Sofitex (importante impresa tessile) di Koudougou. In quell’anno la produzione di Hamidou ha raggiunto le 11 tonnellate, in barba a una situazione delle piogge sfavorevole. Queste “performance” gli hanno valso un buon rapporto da parte dei responsabili della Sofitex, che hanno presentato il suo come un campo modello, in cui vengono organizzate di frequente anche visite dimostrative. Secondo Issa Ouedraogo, un altro migrante residente nella zona, la situazione per la loro categoria è divenuta insostenibile: «quando lavori e ottieni buoni raccolti, non ti vogliono più vedere. Ti invitano ad andartene. Anche per l’acqua potabile, ti fanno sapere che non avrai la fornitura dalla pompa del villaggio». E Albert Sawadogo conferma: «se te la cavi bene nel commercio, fanno di tutto per crearti dei problemi». Bourema Tanga Ouedraogo non si spiega questo comportamento degli “indigeni”: «ci siamo stabiliti qui e ci sentiamo di essere a casa nostra. Se quest’area si sviluppa, anche grazie al nostro lavoro, è tutto il Burkina Faso che si sviluppa. Anch’io ho avuto gli stessi problemi di Hamidou, quando è morto mio figlio. Non è normale».

Sul problema dell’acqua, evocato da Issa Ouedraogo, Hamidou “Ben Laden” spiega che nel 2005 il capo villaggio gli ha impedito l’accesso ai pozzi per due settimane, durante le quali fu costretto a recarsi ogni giorno fino a Sapouy, a 30 km da Neboun, per poter rifornire la propria famiglia. Anche in quell’occasione, ci volle l’intervento del comandante della gendarmeria per risolvere la situazione.

Tutti i migranti sono convinti che i loro problemi dipendano in realtà dal loro “successo sociale”: di fatto, se la passano meglio degli autoctoni. I loro campi sono meglio tenuti e primeggiano in quasi tutte le attività: commercio, allevamento, orticoltura… Peraltro, questi aspetti non dovrebbero essere causa di conflitto tra le comunità. Nel caso di Hamidou, gli viene rimproverato di tener testa all’autorità tradizionale. Alla morte del figlio, gli emissari del capo villaggio hanno preteso un montone come richiesta di perdono, una capra e alcuni polli per il diritto di sepoltura: una richiesta che Ben Laden ha ritenuto inaccettabile, in quel momento di dolore. Se lo si chiama “Ben Laden”, è anche per impedirgli di raccogliere attorno a sé i migranti.

Una frase, secondo Hamidou, ha tradito le intenzioni nascoste degli autoctoni: «Un Mossi qui non potrà mai diventare consigliere». Per un Paese multietnico e multiconfessionale come il Burkina Faso, suona piuttosto inquietante. Tutta questa faccenda «dipende dal capo villaggio attuale che è arrivato dalla Costa d’Avorio portando con sé i suoi metodi… Non c’erano questi problemi con il vecchio capo» commenta Ben Laden.

(*) giornalista dell’Evénement